Ri-flessione sulla penna caduta
La penna gli cadde di mano perpendicolare al pavimento, la punta dritta sul marmo come un sasso lanciato da un cavalcavia. La penna gli cadde come un dardo del destino che gli impedì di mettere su carta i suoi pensieri. La penna, la penna cadde all’improvviso, bloccando sul nascere tutto il mondo che gli sarebbe potuto emergere dalle dita in quel momento. La penna, la penna cadde giusto allora che sentiva crescere dentro di sé l’urgenza di trasformare in scrittura il groviglio di sentimenti che gli si avvolgeva intorno all’interno.
Cercai di prenderla da terra stendendo il braccio in tutta la sua estensione. E mentre allungavo la mano sentivo già i miei pensieri spargersi al suolo, mischiando le parole alle parole; e vedevo accavallarsi le frasi e i sensi del mio ragionamento.
Mento.
La penna era già a terra, quando ho cominciato a digitare queste parole che mi affiorano dalle punte delle dita come sassi che calano sul suolo di questa tiepida mattinata di giugno.
La penna restò lì, spiaccicata al suolo come un corpo morto, mentre l’uomo tornò a sognare il momento in cui non ci sarebbero state più pene, in questo mondo.
Ma era uno di quei sogni che si trasformano facilmente in incubi di bonaccia e pace eterna.
Molto meglio viver di pene.
In ogni senso.