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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Archivi Mensili: novembre 2005

Une amour fou et désespéré

30 mercoledì Nov 2005

Posted by aitanblog in idiomatica, invettive, texticulos, vita civile

≈ 24 commenti

Illustre professeur che ti accompagni alla bella ragazzetta in décolleté nei cinéma d’essai, non abbassare lo sguardo se ti fisso insistente dopo aver mangiato con gli occhi e la mente le gambe, il culo, i seni e lo sguardo ammaliante di lei.

Voyer.

Quando vi guardiamo, pensi che dentro di noi stiamo esecrando il vecchiaccio accompagnato dalla bella verginella sverginata; se non vi guardiamo pensi vi abbiamo confuso per un tableau familiare di padre e figlia in giro di riconciliazione o in innocente camminata, e resti ancor più contrariato.

Come pesano gli anni quando lei si fissa nelle cuffie quella musica che si ascolta con le gambe mentre tu torni con la mente al tuo Debussy da sentire col cuore sintonizzato sul cervello. Per lei persino Chet Baker è musica passata. Per lei un museo è un bel posto per passeggiare con te accanto che parli d’arte e di bellezza con excursus saltellanti da Babilonia a Istanbul, da Manet a Monet (o era da Monet a Manet?), da Picasso a Picabia, dalla sala del quattrocento al bar – “Due pernod per tirarci un po’ su” – e dal bar al giardino dove cerchi di baciarla e lei continua ancora a negarsi, come ormai da tre giorni. Che abbia qualcun altro per la testa? Che ci sia qualcun altro tra le sue cosce e nei suoi pensieri?

Avances giovanili, immagini osé, corna à gogo, à gogo, à gogo.

Quando la guardiamo troneggiare tra le poltrone del cinema d’essai, diventi nervoso e fané, ma cerchi di controllarti (glacé), di non fare la parte del vecchio geloso – cose da pochade démodé, roba d’altri tempi, vaudeville déjà vu. Non essere ridicolo. Non ti disse che tu le dai quello che nessun dei suoi coetanei potrebbe darle?

– Ma le cose che loro possono e io no..! (filosofia  del boudoir).

Le cose che noi possiamo darle e tu no. Quelle ti preoccupano, caro vecchio professore. (Ma forse non sei il docente di letteratura francese che io ho immaginato. Forse sei un vecchio architetto con la erre rotonda; uno stronzo ingegnere bleso e blasé; un luminare delle scienze che studiò alla Sorbone de Paris – ecco perché quell’accento francese. Forse sei solo un ricco patron, un commerciante, un avvocato di grido: disonesto leguleio a difesa di una padronanza mafiosa e ben pagante – ne hai proprio il physique du rôle, non c’è che dire. Certo non sei un monsù Travet e non sei mai stato uno studentello qualunque come me. Ai tempi della Sorbone pagava papà, vecchio bastardo; o forse ti sei fatto da te. Con quel ridicolo foularino al collo –  che possa strozzarti da solo ammirandoti allo specchio e aggiustandotelo! Si vede subito che sei un parvenu. Forse sei proprio suo padre. Ma allora perché non la smetti di stringerle la mano? Perché rimani a guardarla rapito. Perché la tocchi lascivo? Perché non la lasci avvicinare un po’ a noi? …un po’ più a me).

Alla fine della proiezione le chiederai di andare a fare quattro salti in discoteca. (Un modo come un altro per rompere la barriera generazionale, fargliela vedere a quegli sbarbatelli: revanche. Dimostrare a lei e anche un po’ a te quello che è ancora in grado di fare questo vegliardo arzillissimo: rêverie).

Ballerai boccheggiando, cercando di tenerle testa. Ansimerai ballando, sforzandoti di non darlo a vedere. Ti batterà forte il cuore. Le gambe smetteranno di reggerti. Ti si annebbierà la vista. Il sangue affluirà copioso alla tua testa: un fiume che rompe gli argini; il Vesuvio in eruzione. L’ultima tempesta prima della quiete eterna.

Lei impegnata a ballare con uno di noi, forse con me, non avrà neanche il tempo di vederti morire di infarto tra i suoni assordanti di un rumore che chiamano musica ed è un ritmo tribale. Un tambureggiare prima durante e dopo l’esecuzione del vecchio bavoso. Rullanti elettronici celebrano la fine del vecchio professeur nella calca sudaticcia del Satyricon di Pompei. La libertà della bella ragazza in décolleté che ora s’accompagna con noi, forse con me.

E’ crollato l’Ancien Régime. Liberté, Fraternité e Amour.

Amour. Amour. Amour Fou.

FIN

L’ultimo spettacolo è terminato. Lei è lì con lui mano nella mano. È tardi. Quanto durava questo film? Devo proprio andare. Mi restano poche ore per ripetere il mio fottuto programma di francese. Domani ho l’esame e non so un cazzo.

Merd!

 

gaetano vergara ©© 1994

 


Ho recuperato questo raccontino scritto una decina di anni fa, sull’onda dell’indignazione per l’articolo 25 del decreto legislativo 226 e dedico la rabbia che lo pervade al ministromoratti ed a tutta la banda governativa. Parlando e scrivendo molto in questi giorni di pluralismo linguistico e difesa della diffusione delle lingue comunitarie altre dall’inglese, mi sono reso conto che in questo blog c’era molta presenza di spagnolo, portoghese e tedesco, ma nulla o quasi nulla della lingua di Molière, Rabelais, Voltaire, Brassens e Brel (che peraltro io non mastico). Così, come una postilla ideale al post qui sotto, ho copia-incollato le parole che ritrovate qui sopra.

 

 

Save this planet (not another)

25 venerdì Nov 2005

Posted by aitanblog in idiomatica, vita civile

≈ 30 commenti

Per la salvezza del panda, della foca monaca, delle differenze linguistiche e del mio posto di lavoro

Dopo Darwin, il buon senso e certi libri di storia considerati troppo sinistri, rischia di scomparire anche l’insegnamento della seconda lingua comunitaria dai banchi delle nostre scuole di Stato.
È una cosa che mi tocca personalmente, e ve ne voglio parlare un po’ qui, su questa pagina in cui non è mai comparso in modo così netto il mio lavoro quotidiano di insegnante di spagnolo.

In un primo momento, come tanti, mi ero illuso che la riforma della scuola (legge 53) volesse introdurre, accanto all’inglese, due ore alla settimana di una seconda lingua europea. Ma ora ecco che i zelanti tutori dell’international order e delle inesorabili leggi del global market, “al fine di offrire agli studenti l’opportunità di conseguire un livello di apprendimento della lingua inglese analogo a quello della lingua italiana” danno facoltà, alle famiglie che ne facciano richiesta, “di utilizzare, per l’apprendimento della predetta lingua, anche il monte ore dedicato alla seconda lingua straniera comunitaria“. Sono tutte citazioni estrapolate dal secondo comma dell’articolo 25 del decreto legislativo n.226; una sorta di de profundis per l’insegnamento della lingua e civiltà francese, spagnola e tedesca (e pensare che io, ingenuo, già mi prefiguravo il tempo in cui si potesse allargare lo spettro delle possibilità alla cultura dei cugini portoghesi, greci, arabi e slavi).

Ora -a parte l’idiozia di pensare che con un paio di ore in più a settimana si possa raggiungere un livello di conoscenza dell’inglese analogo alla lingua nativa- tutta questa misura puzza tremendamente di provincialismo, monopolio culturale ed aziendalismo acuto. L’inglese è un’importante lingua veicolare (e, per quel che mi riguarda, è anche uno strumento piegato in modo splendido alle esigenze poetiche di Shakespeare, Blake, Swift e Rodger & Hart), ma la realtà è qualcosa di incredibilmente e meravigliosamente più ricco e complesso. La vitalità culturale di un popolo è nel confronto, non certo nell’omologazione e nella riduzione delle pluralità ad un pensiero unico declinato in una lingua imposta dalle regole del mercato o da affrettati decreti ministeriali.
Sarebbe forse il caso di ricordare ai legislatori di viale Trastevere che ogni lingua è un sistema convenzionale influenzato da condizioni geografiche, storiche, economiche e sociali. Non esistono lingue o linguaggi di alto o basso rango, ma solo idiomi e culture differenti, egualmente finalizzati allo scambio comunicativo tra le persone e tra i popoli. Sarebbe il caso di ricordare che studiare le lingue dovrebbe servire anche a sviluppare la comprensione della realtà internazionale e a favorire il superamento dei pregiudizi che ci dividono da chi è linguisticamente diverso. Una famosa frase attribuita a Carlo Magno ricorda che “imparare un’altra lingua è come possedere una seconda anima”. Vogliamo davvero che our second soul speaks only and ever English?
Va bene, concludo con questa retoricissima domanda l’interessata perorazione. Chi volesse approfondire l’argomento può leggersi  qui, quo e qua alcune delle molte petizioni per l’abrogazione dell’articolo 25 rese in modi più oggettivi e specialistici che questa mia.

ιχθυς

18 venerdì Nov 2005

Posted by aitanblog in immagini, inter ludi

≈ 30 commenti

interludio animato
in religioso silenzio

ictus.gif

ιχθυς


Napoli, via Foria
interno di una pescheria

Il Vangelo II Pier Paolo

11 venerdì Nov 2005

Posted by aitanblog in versiculos, vita civile

≈ 33 commenti

5 Marzo 1988
Il Vangelo II Pier Paolo

Signore,
il mio tempo
non chiedermi
di sprecarlo
nei tuoi templi.

Signore
non volermene,
se le mie saranno altre strade,
Signore.

Signore,
io ti sento,
quando soffi il vento
sulla mia faccia.
Signore,
io ti assaporo,
in ogni pezzo di pane,
salato o azzimo,
comunque benedetto.
E benedetto sia
il suo nome,
Signore.

Signore,
tu sei la musica
e il rumore,
Signore.

Signore,
tu il bianco e il nero
e le altre sfumature.
Tu il tutto
sei
e niente,
Signore.

Signore,
il mio tempo
io dedico a te
contro ogni vita divelta.

Signore,
abbi pietà di noi,
pellegrini nel buio,
e dacci la forza di combattere
contro ogni tua immagine
che freni la nostra azione
a rischiarare questo giorno,
per quanto passeggero.

“Sollicitudo rei socialis“,
ma che non sia solo scrittura.

Noche Blanca Napolitana – post ritardatario e semipresenzialista

05 sabato Nov 2005

Posted by aitanblog in immagini, vita civile

≈ 21 commenti

 

dante-1.jpg

Questa qui sopra è una delle decine di foto che ho scattato tra la pazza folla lo scorso sabato notte.
Se vi va di vedere qualche altra immagine della Notte bianca di Napoli cliccateci sopra (e poi ricliccateci).

Per una volta mi sono lasciato trascinare dalla fiumana umana. Allegro plancton sorretto dal flusso nel ventre della balena napoletana.
(Sebbene non sia riuscito a godermi nessuno degli eventi programmati, sono contento di aver visto tanti italiani finalmente appiedati.)
E ad un certo punto non si trovava neanche un bar per fare la pipì. Ma ho voluto esserci, ci sono stato ed è andata bene così.

 

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