Illustre professeur che ti accompagni alla bella ragazzetta in décolleté nei cinéma d’essai, non abbassare lo sguardo se ti fisso insistente dopo aver mangiato con gli occhi e la mente le gambe, il culo, i seni e lo sguardo ammaliante di lei.
Voyer.
Quando vi guardiamo, pensi che dentro di noi stiamo esecrando il vecchiaccio accompagnato dalla bella verginella sverginata; se non vi guardiamo pensi vi abbiamo confuso per un tableau familiare di padre e figlia in giro di riconciliazione o in innocente camminata, e resti ancor più contrariato.
Come pesano gli anni quando lei si fissa nelle cuffie quella musica che si ascolta con le gambe mentre tu torni con la mente al tuo Debussy da sentire col cuore sintonizzato sul cervello. Per lei persino Chet Baker è musica passata. Per lei un museo è un bel posto per passeggiare con te accanto che parli d’arte e di bellezza con excursus saltellanti da Babilonia a Istanbul, da Manet a Monet (o era da Monet a Manet?), da Picasso a Picabia, dalla sala del quattrocento al bar – “Due pernod per tirarci un po’ su” – e dal bar al giardino dove cerchi di baciarla e lei continua ancora a negarsi, come ormai da tre giorni. Che abbia qualcun altro per la testa? Che ci sia qualcun altro tra le sue cosce e nei suoi pensieri?
Avances giovanili, immagini osé, corna à gogo, à gogo, à gogo.
Quando la guardiamo troneggiare tra le poltrone del cinema d’essai, diventi nervoso e fané, ma cerchi di controllarti (glacé), di non fare la parte del vecchio geloso – cose da pochade démodé, roba d’altri tempi, vaudeville déjà vu. Non essere ridicolo. Non ti disse che tu le dai quello che nessun dei suoi coetanei potrebbe darle?
– Ma le cose che loro possono e io no..! (filosofia del boudoir).
Le cose che noi possiamo darle e tu no. Quelle ti preoccupano, caro vecchio professore. (Ma forse non sei il docente di letteratura francese che io ho immaginato. Forse sei un vecchio architetto con la erre rotonda; uno stronzo ingegnere bleso e blasé; un luminare delle scienze che studiò alla Sorbone de Paris – ecco perché quell’accento francese. Forse sei solo un ricco patron, un commerciante, un avvocato di grido: disonesto leguleio a difesa di una padronanza mafiosa e ben pagante – ne hai proprio il physique du rôle, non c’è che dire. Certo non sei un monsù Travet e non sei mai stato uno studentello qualunque come me. Ai tempi della Sorbone pagava papà, vecchio bastardo; o forse ti sei fatto da te. Con quel ridicolo foularino al collo – che possa strozzarti da solo ammirandoti allo specchio e aggiustandotelo! Si vede subito che sei un parvenu. Forse sei proprio suo padre. Ma allora perché non la smetti di stringerle la mano? Perché rimani a guardarla rapito. Perché la tocchi lascivo? Perché non la lasci avvicinare un po’ a noi? …un po’ più a me).
Alla fine della proiezione le chiederai di andare a fare quattro salti in discoteca. (Un modo come un altro per rompere la barriera generazionale, fargliela vedere a quegli sbarbatelli: revanche. Dimostrare a lei e anche un po’ a te quello che è ancora in grado di fare questo vegliardo arzillissimo: rêverie).
Ballerai boccheggiando, cercando di tenerle testa. Ansimerai ballando, sforzandoti di non darlo a vedere. Ti batterà forte il cuore. Le gambe smetteranno di reggerti. Ti si annebbierà la vista. Il sangue affluirà copioso alla tua testa: un fiume che rompe gli argini; il Vesuvio in eruzione. L’ultima tempesta prima della quiete eterna.
Lei impegnata a ballare con uno di noi, forse con me, non avrà neanche il tempo di vederti morire di infarto tra i suoni assordanti di un rumore che chiamano musica ed è un ritmo tribale. Un tambureggiare prima durante e dopo l’esecuzione del vecchio bavoso. Rullanti elettronici celebrano la fine del vecchio professeur nella calca sudaticcia del Satyricon di Pompei. La libertà della bella ragazza in décolleté che ora s’accompagna con noi, forse con me.
E’ crollato l’Ancien Régime. Liberté, Fraternité e Amour.
Amour. Amour. Amour Fou.
L’ultimo spettacolo è terminato. Lei è lì con lui mano nella mano. È tardi. Quanto durava questo film? Devo proprio andare. Mi restano poche ore per ripetere il mio fottuto programma di francese. Domani ho l’esame e non so un cazzo.
Ho recuperato questo raccontino scritto una decina di anni fa, sull’onda dell’indignazione per l’articolo 25 del decreto legislativo 226 e dedico la rabbia che lo pervade al ministromoratti ed a tutta la banda governativa. Parlando e scrivendo molto in questi giorni di pluralismo linguistico e difesa della diffusione delle lingue comunitarie altre dall’inglese, mi sono reso conto che in questo blog c’era molta presenza di spagnolo, portoghese e tedesco, ma nulla o quasi nulla della lingua di Molière, Rabelais, Voltaire, Brassens e Brel (che peraltro io non mastico). Così, come una postilla ideale al post qui sotto, ho copia-incollato le parole che ritrovate qui sopra.