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interludio quasi afasico
29 martedì Apr 2008
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25 venerdì Apr 2008
Posted texticulos, vita civile
inL’aveva appena accompagnata alla stazione. Lei era partita e lui passeggiava tra i vagoni cercando di affogare i pensieri tra i rumori di ferraglia, il vocio della gente e le stupide canzoni diffuse dagli altoparlanti di ogni binario. Improvvisamente fu assalito da una voglia improcrastinabile, un desiderio impellente. Senza pensarci due volte, corse verso la prima carrozza che gli capitò sotto tiro spintonando donne, uomini, vecchi e bambini sul marciapiede e sul predellino.
Non ebbe neanche il tempo di mettere il piede nel vagone, che le porte si chiusero alle sue spalle. Lui, come attratto da una forza superiore, corse nell’angusta ritirata della prima carrozza e cominciò a dare sfogo al suo bisogno di liberazione, senza preoccuparsi di dove l’avrebbe portato quel treno.
(Mi permetto di scherzarci, sul 25 aprile, perché l’antifascismo è una delle poche cose in cui credo. E poi è più che mai lecito dissacrare in quest’Italia che vola libera, bella, unitaria e democratica lontano dai vecchi regimi e dalle scorie del passato.
È bello assai, bello assai, bello assai, sai sai vivere nel migliore dei paesi possibili e desiderare di restarci senza che nulla cambi e tutto resti come prima, più di prima, ti amerò. (Benedetta Flounder, cosa c’era ieri in quel Nero d’Avola e a condimento di quegli splendidi peperoni in agrodolce? ;o))
Aggiornamento del giorno dopo la liberazione
Ieri ho visto il telegiornale delle 13 di Rai2: una manciata di secondi per la Festa della Liberazione, con tanto di Alemanno che spiegava che il 25 Aprile è stato il giorno dell’affrancamento da tutti i totalitarismi, di destra come di sinistra (boh?); e poi via, per tutto il resto del tg, a dire di stupri, violenze e dagli all’immigrato. Le elezioni nazionali le hanno vinte e la monnezza è già sparita dalle strade di Napoli e provincia; almeno in tv; perché io quando mi trovo a passare per Afragola e Casoria vedo ancora montagne di sacchi e sacchetti. Ma lo spettro della violenza immigrata è più funzionale alle elezioni romane di domani e alle misure repressive del governo a venire. Ci governa la paura.
Viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer, l’Italia del caffè.
19 sabato Apr 2008
Posted texticulos
inBertrando Arlazzi era così sfortunato che, non appena disse che gli restavano solo gli occhi per piangere, fu accecato da un fulmine che lo raggiunse dentro casa attraverso la porta che la moglie aveva lasciato aperta per andarsene col suo migliore amico, l’unico che aveva, l’unico che aveva mai avuto, quello di cui era da sempre segretamente innamorato.
16 mercoledì Apr 2008
Posted versiculos, vita civile
in(le parti tra virgolette vanno lette a voce alta e ben impostata,
di modo che sentano anche i vicini e possano fare sì sì con la testa)
“Ed ora andranno via gl’immigrati
dalla nostra sacra e pura terra
(oppure voteranno per la Lega).
Caleranno i prezzi dei mercati;
vinceremo decisi ogni guerra
e del resto c’importa una sega.
Cammineremo per strada sicuri,
liberi e ogni giorno più belli,
mentr’i rossi saranno sempre quelli.”
“Vi controlleremo, biechi figuri,
dotti, matti e giudici ribelli,
tenendo a bada i vostri cervelli!
I treni giungeranno molto presto,
ma ci muoveremo solo in auto
a benzina dai prezzi ribassati.
Annereremo i libri di testo,
ma essendo io oltremodo cauto,
non pretenderò che vadano bruciati.”
“La compagnia di bandiera resterà
ferma in mano agli italiani
e tre reti al santo Berlusconi.
Risanata sarà la sanità
e risulteranno di nuovo vani
i vostri desideri da coglioni.”
“Più sicurezza e più legalità,
in campagna e in ogni città,
più legalità e più sicurezza,
e per la strada mai mai più monnezza.”
“E se questo non bastasse,
ai ricchi meno tasse,
ai poveri più fica
e a me la tua amica.”
“Ed ora,
tanto per gradire,
statemi a sentire,
mettetevi a tacere
e restate a vedere.
Ecco, sì, uhalà,
metto la mano nel cappello
e vi elimino un balzello:
avremo un bonus
per la prima casa,
tre per la seconda
e sei per la terza.”
“Viva, viva
l’Italia che avanza
e controsterza!”
Bonus,
bis,
ter
…
Ufff,
due palle!
…
Tilt.
…
Game Over
…
Ce ne andremo altrove
e ci sembrerà perfino bello
quest’incendio visto da lontano.
11 venerdì Apr 2008
Posted immagini, musiche, recensioni
inSono stati otto giorni otto tutti dedicati ai suoni, alle armonie e ai ritmi. Una settimana in cui anche le parole più importanti sono passate per le canzoni. E ora vorrei provare a tesserne una rapsodia fatta di ricordi ed emozioni, una suite sulle cose che mi sono passate per le orecchie, per la testa e per quei territori intangibili che chiamiamo cuore, anima o sensazioni. (In verità, è tutta una vita che la musica ha uno ruolo fondamentale nella mia esistenza; tutta una vita che provo a suonare decine di strumenti diversi fermandomi alle soglie della tecnica di base, per acquisire i rudimenti che mi permettono di capire meglio i concerti cui assisto e le migliaia di vinili, cassette e cd che ho comprato, ascoltato, consumato o sentito appena.)
La mia strippata musicale è cominciata lo scorso fine settimana in un modo per me poco canonico: un dj-set in uno spazio suggestivo al centro di Napoli: il Museo Madre: l’antico Palazzo Donnaregina ristrutturato sapientemente da Alvaro Siza per trasformarlo in centro espositivo dedicato all’arte contemporanea. Ci sono andato volentieri anche perché mi è parsa da subito una bella idea questa di cambiare settimanalmente la destinazione d’uso di questo spazio e farne un’enorme discoteca con pannelli appesi alle volute dell’alto soffitto del cortile su cui si proiettano suggestive diapositive. Un po’ meno suggestiva la musica, ma tant’è. Ho provato persino a rimettere in moto gli arti inferiori al ritmo di Bestie Boys, Daft Punk e Figli delle Stelle (pare che anche oggi, come ieri e l’altroieri, aleggi uno spirito da revival che fa contenti vecchi e giovani). Certo mi è sembrato una strana ironia della sorte non andarci con chi è un anno che cercava di farsi portare a ballare, e nemmeno seguire nella milonga chi vorrebbe trasmettere l’insana passione del tango ballato a me, che il tango lo parlo da una vita, ma non lo ho mai danzato e troverei impudica perfino l’intenzione di buttarsi nella mischia danzereccia.
Un paio di giorni dopo ero all’auditorium Bianca D’Aponte di Aversa per sentire il duo jazz formato dalla pianista newyorkese Peggy Stern e dal sassofonista napoletano Giulio Martino. Il loro è un repertorio piacevole composto per lo più da brani originali, salvo uno standard (I wish I Knew), una bossanova firmata Jobim e un gustoso Bésame mucho strappapplausi spietatamente inferto a mo’ di bis al mio cuore che in questi giorni è fin troppo sensibile a certe note romantiche che gridano dentro como si fuera esta noche la última vez. In ogni caso, quella di Stern-Martino è una proposta “post-cool”, lirica, ben suonata, e anche divertente negli echi latini di cumbie, boleri, ritmi cubani e melodie brasiliane. La Stern è una pianista dal gesto molto “economico”, ma efficace. Martino ha un suono denso e pastoso con un soffiato avvolgente e note basse che ti prendono allo stomaco. Da un punto di vista compositivo, ho trovato particolarmente suggestive una ballad della pianista intitolata Thomas e la cumbia colombiana con cui si è aperta l’esibizione.
L’indomani, me ne sono andato al Canto Libre a sentire le Divagazioni a tema unico su Luigi Tenco messe in scena da Alessio Arena che prestava per lo spettacolo la sua voce sia in vivo, per le canzoni, che su un nastro registrato con brani di Cesare Pavese recitati da lui e dalla sua nonna (brillante trovata, questa, che ci ha permesso di ascoltare una bella voce popolare, spontanea e autentica impegnata a interpretare con spiccato accento napoletano brani dolenti e struggenti tratti dai diari di un altro intellettuale morto suicida, e così stemperare la carica retorica della scelta Tenco+Pavese). Con Alessio Arena, sul palco, un quartetto di giovani musicisti che rileggevano il repertorio del cantautore genovese in chiave jazzistica (anche se lasciando poco o nessuno spazio all’improvvisazione), mentre alle loro spalle si assisteva ad un’installazione video. Alessio ha una voce intonatissima che sembra sempre sul punto di spezzarsi; come il Roberto Murolo degli anni migliori, come il Chet Baker di sempre; quasi una voce bianca, si direbbe. Beh, che altro dire, gli arrangiamenti erano gradevoli, il repertorio bellissimo, i diversi media ben integrati, e io, su Vedrai Vedrai e Un giorno dopo l’altro, mi sono commosso alle lacrime.
Il resto della settimana è scorso tra acquisti di cd e spartiti, chiacchiere musicali e non, discussioni musicologiche in rete e miei ignobili arrangiamenti di standard e brani, per così dire, originali; poi ieri è stato il giorno del concerto al Penguin Café di Stefania Tallini; un concerto attesissimo da tutto un gruppo di amici di Napoli e zone collegate che sono (siamo) sul punto di fondare un Tallini’s Neapolitan Fan Club di cui HanginRock sarà Presidente Onorario e io portavoce ufficiale.
E così…, anche se magari qualcuno degli altri astanti era lì solo per mangiare…, anche se quello non era il pianoforte a coda del Quirinale, dove Stefania si era esibita lo scorso 30 marzo…, anche se, prima del concerto, ci aveva detto di essere piuttosto stanca, perché sta lavorando molto (e meno male)…, quando ha cominciato a mettere le mani sulla tastiera, la musica ha catturato tutta la sala e da tavolo a tavolo si è diffuso un silenzio pieno di suoni buoni. Ancora una volta, la Tallini ha messo fuori tutta la sua energia e voglia di comunicare emozioni; e ci ha emozionato.
[Nell’intervallo tra un tempo e l’altro del concerto, mi è venuto da pensare all’apertura verso musiche non inquadrabili direttamente nella tradizione jazz come ad un filo rosso che accomuna Stefania, Peggy Stern ad altre pianiste arrangiatrici compositrici (Carla Bley, Maria Schneider, Rita Marcotulli, Hiromi Uehara…), tutte legate da un interesse niente affatto episodico verso i ritmi latini, la musica brasiliana, le canzoni e le danze flocloristiche e popolari… Uno spunto da approfonfire, o contraddire qui o altrove.]
La scaletta di ieri era più o meno quella in piano solo del concerto alla Feltrinelli di cui ho già parlato su queste pagine, ma con l’aggiunta di una Tarantella composta nel 2001 e dedicata al pubblico napoletano. Grazie. Di cuore.
E meno male che la musica c’è.
aggiornamento musicale domenicale
Sono reduce da un altro concerto e ve lo voglio dire (e un po’ farvelo sentire con le orecchie dell’immaginazione). All’auditorium D’Aponte c’era il “Maciste Trio” formato da Fausto Mesolella (alle chitarre), Vittorio Remino (al basso) e Mimì Ciaramella (alla batteria ed alle percussioni). Suonavano musiche originali mentre su uno schermo si proiettava senza sonoro l’adorabile polpettone di Corbucci/Gentilomo “Maciste contro il Vampiro”.
Forse una paio di ore erano troppe per il pubblico medio; alla lunga la sonorizzazione ininterrotta può stancare; anche perché è strano andare a “vedere” un concerto dal vivo e perdersi la fisicità dei musicisti che suonano di spalle al pubblico per poter guardare le scene del film. Tuttavia, io che faccio parte della categoria pubblico scafato, mi sono moderatamente divertito ed ho ammirato il sapiente uso delle dinamiche da parte del trio, i crescendo, i pianissimo, le citazioni che andavano dal Ballo del qua qua alla colonna sonora di Betty Blue, le distorsioni usate a scopo effettistico, le variazioni ritmiche dal reggae al bolero, le atmosfere esotiche fondate su scale arabe e spagnole e, soprattutto, la voglia di giocare con un film così fantasmagorico, eccessivo, fumettistico e surreale intersecando i propri suoni ed effetti speciali alla concitazione delle scene di lotta ed al sentimentalismo degli incontri d’amor.
Nella chitarra di Mesolella risuonavano echi di Ry Cooder, Jimi Hendrix e Marc Ribot. Sua figlia di 8 o 9 anni, guest star, sbadigliava vistosamente e ogni tanto biascicava note da un pocket flugelhorn (l’effetto era il più delle volte anche a tono con la musica, ma sospendo il giudizio sulla scelta circense di tenerla lì sul palco). Mimì Ciaramella era così espressivo da ricordarmi il grande Joey Baron. Vittorio Remino tirava fuori dal basso tutta la sua vasta gamma di potenzialità espressive, ritmiche e melodiche.
E meno male che la musica c’era pure stasera.
05 sabato Apr 2008
Posted romantico
inMuito Romântico
Vorrei stringerti a me, sentirti raggomitolata tra le mie braccia e aspettare che ti rannicchi nel mio palmo per carezzarti piano con l’altra mano e farti il solletico sotto il mento e sul collo… Passare su tutto il tuo corpo le mie dita, vorrei, e dirti che non è ancora finita, né mai finirà né finirei se tu volessi e io vorrei. […] Vorrei, vorrei, se tu volessi, vorrei… Vorrei farti sentire calda e sicura, senza nulla che possa farti paura e nessuno che possa farci male. Vorrei vederti tornare liquida, e sentire la tua pelle sorridere mentre mi immergo nel tuo mare e tra le onde ti vedo ballare, corpo danzante e mare, mare, mare. […] Sapere che nulla o nessuno potrà mai farti del male, vorrei, se io potessi e lo farei, sicuro che lo farei e di farlo, farlo e rifarlo mai pago sarei, se tu volessi e io vorrei, […] sicuro, sicuro e sicuro che lo vorrei.
mi erode dentro come un tarlo
tanto vuoto che non posso riempire
e se dovessi di nuovo tentarlo
vorrei piuttosto bramarmi morire
s’io non potessi ritrovarmi in te
02 mercoledì Apr 2008
Posted texticulos
in[quasi un sequel]
– Come potrei non amarti, Gran Sultano? Tu mi hai dato tutto. Prima di te io nemmeno sapevo di esistere. Mi hai fatto scorgere la bellezza nelle curve del mio viso. Mi hai donato profumi da odorare, musica da suonare e parole per dirtelo. Mi hai offerto datteri da mangiare e acqua per togliere la sete o affogare. Come potrei non venerarti e riverirti; come potrei smettere di adorare chi mi ha ordinato la bellezza e il senso della vita che ho vissuto? Come potrei non amarti, come potrei non amare te, Shariar, dopo che mi hai inventato il cammino su cui cammino e la possibilità di incontrarti lungo le strade che ci hai lastricato? Tutto, tutto mi hai dato, amore mio; ma ora dimmi, dimmi, dimmi: cosa ti ho dato io?
– Il culo, Sherazade, il tuo culo che un tempo mi bastava!