In risposta ai cori razzisti che dallo stadio di Bergamo urlavano “COLERA!”
Atalanta – Napoli 1-2
Sarebbe bello che alla partita di ritorno con l’Atalanta tutta la curva B gridasse: “COLLERA! COLLERA! COLLERA!”. E magari si mettesse in bella mostra sugli spalti pure un enorme striscione con il raddoppio della “L” di “COLERA”.
Però, s’avesse pure vencere ‘a partita. Si no ‘a collera c’ha pigliamme nuje.
P.s. Chi mi conosce sa che non mi sono mai interessato al calcio e potrebbe meravigliarsi per una così accalorata esternazione dopo una (ennesima) vittoria del Napoli. Ma la verità è che questo post l’ho scritto più per risentimento contro i cori stupidi e razzisti che per tifoseria.
Siente, siente, Vesu’, statte quieto, nun ce da’ suddisfazione a ‘sti quatte capriciune c’a cape sciacqua, ‘o core ‘e preta e ‘a vocca ‘mpestata ‘e merda e acite.
Siente, siente, Vesu’, statte sode, nun fa cuntente a chesti lote!
Sienteme, siente Vesu’, fallo pe’ l’aneme do Priatorio e pa’ mamma ‘e Gesu’; fallo pe’ Allah e pe’ Visnù; fallo pe’ chi t’è muorte, pe’ chi t’è vive, pe’ Santa Barbara e p’Esaù.
Siente, siente Vesu’, fallo pa’ barba ‘e Mosè, pe’ Giosuè, pe’ Sant’Antonio, pe’ Sant’Anna e pe’ Grisù.
Sienteme, siente Vesu’, fallo po’ babba’, pe’ sfugliatelle, pe’ ‘sti femmene belle e po’ rau’.
Sienteme, siente Vesu’, fallo pe’ Maradona, pe’ chistu mare, pe’ chistu cielo, pe’ San Gennaro, e pe’ chi vuo’ tu.
Ma duorme, duorme; fatte nu bello suonno e nun ne parlamme cchiu’, fino a che ‘o munno nun se ne cade e te ne cade pure tu.
Versione in lingua nazionale
Ascolta, ascoltami Vesuvio, stattene quieto, non dare soddisfazione a questi quattro cazzoni con la testa vuota il cuore di pietra e la bocca appestata di merda e di aceto.
Ascolta, ascoltami Vesuvio, statti fermo, non fare contenta questa mala melma!
Ascolta, ascoltami Vesuvio, stattene spento, non buttare sul cotto l’acqua bollita.
Ascoltami, ascolta, Vesu’, fallo per l’anima del Purgatorio e per la mamma di Gesù; fallo per Allah e per Visnù; fallo per chi ti è morto, per chi ti è vivo, per Santa Barbara e per Esaù.
Ascolta, ascolta Vesuvio, fallo per la barba di Mosè, per Giosuè, per Sant’Antonio, per Sant’Anna e per Grisù.
Ascoltami, ascolta Vesuvio, fallo per il babbà, per le sfogliatelle, per le femmine belle e per il ragù.
Ascoltami, ascolta Vesuvio, fallo per Maradona, per questo mare, per questo cielo, per San Gennaro, e per chi vuoi tu.
Ma dormi, dormi; fatti un bel sonno e non ne parliamo più, fino a che il mondo non se ne cada e te ne cadi pure tu.
Chiedo ai miei alunni di quinta quale pensano che sia la percentuale degli immigrati rispetto alla popolazione nazionale e se pensano che ci siano più stranieri in Italia o in Spagna (qualche volta aggiungo pure qualche altro Paese di riferimento).
Poi faccio fare una rapida ricerca sulle percentuali pubblicate dalle statistiche “ufficiali” e li faccio ragionare autonomamente sulla discrepanza tra la realtà dei dati e la loro percezione della realtà.
Quest’anno, in due quinte, la loro percezione della presenza degli immigrati in Italia si attestava tra il 25 e il 26% contro il dato statistico che riporta un 8,5, 8,6 o, come massimo, un 8,7% di stranieri sul suolo patrio.
(Questo succede in un paesino dell’entroterra napoletano dove la presenza degli immigrati è scarsissima e in una scuola che su 1400 alunni ha sì e no una trentina di stranieri.)
Negli anni i dati numerici che ricevo dai miei studenti sono sempre più discrepanti dalla realtà. Tuttavia, ho l’impressione che aumenti anche la consapevolezza delle ragioni di questo divario. Quando a caldo abbiamo fatto una “lluvia de ideas” (brainstorming) sulle ragioni di tanta differenza tra i dati percepiti e i dati reali, sono venuti fuori argomenti interessanti come:
– Non siamo abituati come altri popoli a convivere con stranieri, per cui già vederne pochi ci shocka e ci sembrano tanti
– I mass media parlano molto e in modo insistente del fenomeno
– La televisione ci fa vedere continuamente sbarchi
– La propaganda politica e internet fanno disinformazione e amplificano la realtà dei fatti
– La paura deforma la realtà
– Vivere in zone con molti immigrati (come la vicina Casandrino) dà una percezione moltiplicata del fenomeno
– Siamo contrariati dal fatto che gli immigrati prendono il posto degli italiani e la rabbia ci fa alterare la realtà
– Vediamo la realtà attraverso i social e le fake-news, non con i nostri occhi.
A questo punto sono solito aggiungere una piccola domanda che lascio nell’aria: “Non è che siamo pure un poco razzisti?”.
E da qui parte uno studio su cosa sia storicamente il razzismo e che forme assumano oggi razzismo e xenofobia.
Credo che alla fine ognuno resti della sua idea, ma almeno impariamo a conoscere qualcosa in più di noi stessi e degli altri.
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N.B. Le foto alla lavagna si riferiscono solo ad una delle due classi coinvolte.
Miguel de Unamuno, scrittore spagnolo liberale e conservatore, sosteneva che “il fascismo si cura leggendo e il razzismo si cura viaggiando.”
Forse è proprio qui il punto. Ormai sono rimasti in pochi a leggere testi più lunghi di un SMS, un WhatsApp o un post su Facebook e i viaggi…, i viaggi si fanno in spazi artificiali che annullano le differenze e appiattiscono il mondo; spazi in cui lo straniero lo incontri solo per farti portare il caffè o pulirti la stanza.
Eccoci qua, tra i discorsi che si ammucchiano, si accatastano, si ammonticchiano, si accavallano, si affastellano e si sovrappongono in un brulichio indistinto e noioso in cui si perdono, come in un deserto, le poche voci fuori dal coro.
Eccoci qua, pronti a celebrare il Giorno della Memoria come un rito svuotato di senso.
Eccoci a piangere i morti del ‘900 senza svestirci della nostra indifferenza di fronte ai morti e alle discriminazioni del 2018.
Il razzismo è il primo motore dello sterminio ed agisce ogni giorno dentro di noi.
Troppo facile commuoversi davanti ai pigiami a righe di ebrei lontani nel tempo e nello spazio e rivolgerci nel presente con parole e atteggiamenti intolleranti nei confronti degli immigrati della porta accanto o dei rom che incrociamo al varco di un semaforo.
Troppo comodo considerare il passato come un film commevente e poi continuare ad essere indifferenti di fronte ai razzismi e alle discriminazioni che crescono ogni giorno dentro e fuori di noi.
Non facciamo della memoria un altro sepolcro imbiancato, lasciamola agire nel corpo della nostra società e nelle nostra stessa coscienza, per fare meglio e diventare migliori.
Molte volte parliamo del razzismo come se si trattasse di una visione del mondo univoca e di un sentimento statico e monolitico. E invece esistono diverse forme e modalità di espressione di questo sentimento di superiorità, ribrezzo e paura che induce a giudicare l’altro non in quanto persona, ma in quanto appartenente a un determinato raggruppamento etnico che viene pregiudizialmente percepito come inferiore e minaccioso.
Da un punto di vista sociale, in questo periodo storico e nel contesto in cui vivo, distinguo almeno 4 forme di razzismo, che, però, talvolta, si presentano in modalità miste, fluide, meticce.
La prima forma è il razzismo della povera gente: la classe subalterna che è razzista perché viene indotta alla paura per l’altro da sé e mantenuta in una condizione di ignoranza che porta a confondere l’amico col nemico e l’uguale col diverso.
La seconda forma consiste in un misto di egoismo e paura che attecchisce soprattutto tra le persone agiate. Chi non ha bisogno di combattere ogni giorno per un pezzo di pane teme che la discesa di orde di stranieri minacci il proprio status, il mantenimento dei suoi piccoli privilegi.
Al terzo posto abbiamo il razzismo fluido della piccola borghesia che declina la sua paura in un moto pendolare che va dall’ignoranza degli indigenti all’egoismo degli agiati.
Infine, il razzismo dei ricchi e dei potenti che hanno pari ripugnanza per bianchi, neri, rossi e gialli, e tutti ugualmente sfruttano o cercano di sfruttare. L’unica paura di questa classe dominante è quella di perdere la propria posizione di dominio o di veder diminuire il bacino degli sfruttabili, l’esercito dei lavoratori di riserva.
Insomma, la mia lettura, senz’altro démodé (come gli accenti su queste “é”), si propone di tornare a giudicare marxianamente le persone non in base alla propria origine, al proprio sangue, alla propria nazionalità e alla quantità di melanina presente nella loro pelle, ma in base alla classe sociale di appartenenza, al censo e alla posizione di dominati o di dominanti che occupano nella piramide sociale.
Senza contare che la paura sociale è un sentimento che impedisce ogni forma di cambiamento: i conservatori sono dominati dal terrore e sono disposti a sacrificare libertà e diritti pur di sentirsi più sicuri a casa loro e ridurre i propri livelli di ansia sociale. E le classi dominanti sono da sempre abituate a fare leva sulle paure diffuse e percepite, per non perdere il loro ruolo di dominatori e gli spropositati privilegi che il loro confortevole ruolo comporta.
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In questo contesto, considero che Napoli, oggi, avrebbe fatto meglio ad accogliere Salvini con una lunga pernacchia collettiva; perché lui di questa visibilità campa. Non potrebbe fare incetta di voti italioti senza tanto rumore intorno al suo nulla.
Tuttavia, quando sento il TG3 regionale parlare di Salvini come il leader di un partito di moderati e i ragazzi che erano in piazza come una massa di facinorosi “black bloc”, beh, qualche dubbio mi viene sulle mie posizioni non interventiste. E un po’ mi dispiace di essere restato dietro allo schermo del mio pc.
Diceva Bernardo di Chartres e ripeteva Isaac Newton “che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.”*
Vorrei crederci, ma a volte ho l’impressione che avesse ragione Aldous Huxley nel ritenere che il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia sia la lezione più importante che la storia ci insegna.
Vedo molti celebrare il Giorno della Memoria senza capire che la prima cosa che lo sterminio di ebrei, rom, sinti, omosessuali e oppositori politici di ogni razza e natura ci insegna è che non si può essere indifferenti di fronte a ogni tipo di discriminazione. Il razzismo dovremmo riconoscerlo e stanarlo prima di tutto dentro noi stessi.
Troppo facile commuoversi davanti ai pigiami a strisce di ebrei lontani nel tempo e nello spazio e poi continuare a usare la parola ebreo come un’offesa. Troppo comodo considerare il passato come un film commevente e rivolgerci nel presente con parole e atteggiamenti intolleranti nei confronti degli stranieri della porta accanto e dei neri e dei rom che incrociamo per strada o al varco di un semaforo. Comodo e facile come ripetere a ogni pie sospinto “io non sono razzista, ma gli zingari però…”.
Denkmal für die ermordeten Juden Europas – Foto di Gaetano “Aitan” Vergara scattata una decina di anni fa a Berlino
«L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza. L’opposto dell’educazione non è l’ignoranza, ma l’indifferenza. L’opposto dell’arte non è la bruttezza, ma l’indifferenza. L’opposto della giustizia non è l’ingiustizia, ma l’indifferenza. L’opposto della pace non è la guerra, ma l’indifferenza alla guerra. L’opposto della vita non è la morte, ma l’indifferenza alla vita o alla morte. Fare memoria combatte l’indifferenza» (Elie Wiesel)