Le cose stanno lì e lì restano, a meno che non le sposti tu o ti fermi ad aspettare qualcun altro, e qualcun altro prima o poi viene e le sposta veramente, le tue cose; quando meno te lo aspetti. Tanto vale, allora, che ti metti tu a cambiare l’ordine dei mobili (che sono mobili proprio perché sono fatti perché tu li muova) e a spostare i tuoi appuntamenti e i quaderni che ti coprono il tavolo al punto che non ricordi nemmeno più se era di legno, di plastica o vetro, il ripiano di questa vecchia scrivania che prendesti a casa di tua zia o tra la roba accantonata per la via. La verità è che non ti ricordi neanche più da dove viene lei e da dove vieni tu. Perché anche nei ricordi tutto si muove ed è impossibile mettere a fuoco la tua memoria per distinguere certi dettagli che a volte ti sembrano più importanti delle figure che affiorano non sai da dove e si mettono prepotentemente in primo piano e poi di nuovo sfocano, sfumano, ritornano visibili come e quando gli pare.
La verità è che ci sono cose, fuori e dentro dalla tua memoria, che sembrano muoversi da sole, anche quando sai che ci deve essere sicuramente una forza dietro che le sposta involontariamente o apposta per farti impazzire e scrivere periodi ingarbugliati e contraddittorii.
Càpita così, o più o meno così, anche alla penna che scorre adesso sul foglio e alle parole che si vanno formando man mano che lei, la mia penna, si muove da destra a sinistra, da destra a sinistra e dall’alto verso il basso; ché se fossi arabo o giapponese le cose starebbero diversamente o per lo meno sarebbe diverso il senso del movimento della mia mano (e della relativa penna) su questo foglio, che in fondo ci faceva più una bella figura a restarsene bianco come Fabriano o chi per lui l’aveva fatto, il foglio, dico. Ad ogni buon conto, io non scrivo nell’Oriente medio, e nemmeno in quello vicino o in quello lontano ed estremo; io scrivo qui e ora, e ora e qui mi fermo perché altro di sensato da dire non ho e le cose che li stavano lì resteranno anche dopo tutto questo mio inutile papiello. Mannaggia ‘a morte, o male ‘e diente e chesta notte senza viento e senza niente!