Vagheggio una fine senza botti nelle terre dei fuochi e un 2023 senza bombe in Ucraina e in altri luoghi di conflitto. Ma forse è volere troppo rispetto ai dati di realtà che mi attraversano gli occhi, le orecchie e la pelle. Speriamo che almeno piova, questo capodanno, sui roghi di monnezza che trasformeranno questo letamaio in un inferno di seconda mano; e che nessuno ci lasci le dita, gli occhi, un braccio, la cute o la vita.
Qui a Napoli e zone collegate abbiamo con il fuoco un rapporto inscindibile e contraddittorio. Viviamo con l’inferno sotto ai piedi pronto a venire fuori dalla bocca del vulcano o dalle viscere della terra. I campi ardenti della zona flegrea, la lava del Vesuvio, la porta degli Inferi nel Lago d’Averno, la terra ribollente della Solfatara, la liquefazione del sangue del santo, i roghi tossici e i fuochi d’artificio che rimbombano nell’aria per tutto l’anno, fino all’apocalisse dell’ultimo giorno. Siamo costantemente sotto l’assedio dell’artificio dei fuochi. Come se stessimo mettendo in scena una rituale evocazione delle catastrofi che ci aspettiamo da un’imminente eruzione del Vesuvio o dall’apertura della porta degli inferi. Come se volessimo farci noi stessi vulcano e perpetrare un lento, quotidiano suicidio di massa; la fragorosa deflagrazione di un diffuso desiderio di dissoluzione! la volontà di autodistruggerci e scomparire tra il fuoco, i fumi e le fiamme.
Vabbè, il giorno si avvicina. Buona fine!
E miglior principio…
Vi auguro un anno meno funesto, in un mondo magnifico come questo.
– Per imparare a superare gli ostacoli che si frappongono tra noi e le soluzioni.
– Perché two is better than one.
– Per tramandarne il rito della divisione di padre in figlio, con tutto il suo carico di frustrazioni e sofferenze che servono a temprarti e ad insegnarti la vita com’è.
– Per imparare a tenere a mente le cifre prestate.
– Per farti vedere che tante volte anche le vecchie generazioni sono in difficoltà: davanti a quei numeri, i tuoi genitori, i nonni e gli zii ostentano nonchalance, ma poi si sbandano e si sbracano pure loro alla prova dei fatti.
– Per tenere impegnati i bambini con la testa china sul foglio e la penna che va avanti a fatica.
– Per un malcelato e diffuso sadismo magistrale.
– Più o meno per gli stessi motivi per cui si studia ancora il greco e il latino (a proposito, ma perché si studiano ancora il greco e il latino?).
– Per quando si scarica la batteria del telefonino.
– Per capire come funziona il meccanismo. Non importa se poi nella vita farai i tuoi calcoli a mano, a mente o con l’aiuto di una vecchia calcolatrice o di un dispositivo elettronico di prossima generazione.
– Perché, come lo studio del greco e del latino, ci insegnano la disciplina, l’importanza della concentrazione e la logica e ci dicono da dove veniamo e da dove vengono le soluzioni che possiamo trovare facilmente in rete o con un app del pc o del telefonino.
– Perché se non sai da dove vieni, non capisci dova vai.
– Per vedere l’effetto che fa e dimostrare che in fondo c’è sempre una soluzione.
– Per quelli che debbono creare le calcolatrici e le app da mettere sui telefonini. Non credo che si possano realizzare algoritmi per risolvere calcoli a due cifre se prima non si conosce il procedimento per farli a mente e a mano; a meno che non si immagini che sia più agevole e più utile inventare un sistema di AI capace di capire da solo come risolvere le divisioni a due, tre o quattromila cifre.
Ma come non sapete cosa sia un sistema di AI? Ma che simpatiche caprette che siete! Stiamo parlando di artificial intelligence, intelligenza artificiale, quella che dovrebbe venirci in supporto quando non sapremo più a cosa servano le divisioni a due cifre, le sottrazioni e le tabelline (a proposito, ma perché si studiano ancora le tabelline?).
In appendice…
La reazione di mia figlia a questo post (e un po’ me la sono meritata). ☺️
La Catalogna tra democrazia, tolleranza, utilitarismo, indipentismo e sovranismo
Per la seconda volta in una decina di giorni, ieri, nell’hotel che ci ospita a Blanes, nel pieno della Catalogna indipendentista, uno spettacolo di danza flamenca. Come se fossimo in Andalusia, nel profondo sud della penisola.
Il popolo catalano è un popolo tollerante, democratico e civile, ma è anche un popolo concreto, capace di sfruttare i propri talenti e quelli altrui per farne mercato; un popolo pronto a vendersi tutto il vendibile per aumentare il proprio benessere materiale; fino agli estremi della gentrificazione che hanno trasformato interi quartieri popolari di Barcellona in zone spersonalizzate, piene di migranti e turisti, con conseguente aumento del prezzo degli affitti, degli immobili e dei beni di prima necessità. Lucía Lijtmaer, nel romanzo che sto leggendo in questi giorni di mare e rilassamento, osserva che già una ventina di anni fa Barcellona si stava trasformando in una grande Lloret de Mar…
“In due anni qui si è riempito di guiris [turisti stranieri] come se fosse Lloret, dice qualcuno, ed è vero, il centro è como la Lloret della mia infanzia, lo stesso odore di cipolla fritta e waffle riscaldato, lo stesso mare di pelli bruciate, la stessa sensazione di nausea e stordimento per la quantità di gente e sole, combinati, gente e sole, gente in scatole di latta, sole in scatola, la latta che ti brucia la pelle quando cerchi di sederti sul cofano di una macchina vicino alla spiaggia e tua madre ti diceva: togliti di lì, non vedi che ti stai per scottare, togliti di lì, ti dice ora il tuo istinto e non tua madre, ogni volta che scendi dalla ronda di Sant Pere.” [Lucía Lijtmaer, “Cauterio“, 2022, p.81. La traduzione è mia.]
Ma torniamo allo show Flamenco e alla capacità dei catalani di sfruttare a più non posso tutti i luoghi comuni del turismo iberico per farne una redditizia fonte di guadagno.
In Catalogna hanno abolito la corrida ed hanno trasformato l’Arena di Barcellona in un mega-centro-commerciale, eppure continuano a vendere tori di plastica a orde di turisti in cerca di sapori autentici e prodotti tipici e topici. In Catalogna si sentono altri dal resto della Spagna, ma poi, a ben vedere, è tutto un proliferare di ventagli, banderillas, chitarre, nacchere, paellas valencianas, sangría e gazpacho andaluso. A Barcellona e nel resto della comunità autonoma, hanno in spregio i “charnegos” (gli spagnoli che vivono in Catalogna, ma non sono figli di catalani), ma hanno catalanizzato Picasso, un genio di Malaga (Andalusia) vissuto per la maggior parte della sua vita in Francia.
Il finto tablao flamenco di ieri, che ho solo sentito da lontano perché la bambina non è voluta scendere e ha preferito tenere a sottofondo delle sue letture, è parte di questo sfruttamento mercantile dell’idea di Spagna sedimentata nelle teste degli stranieri che da due o tre secoli cercano la Carmen in ogni angolo o anfratto della penisola iberica (allo stesso modo in cui i gondolieri veneti cantano “‘O sole mio” e “Simme ‘e Napule, paisà” ai turisti tedeschi e giapponesi che questo vogliono sentire, per avere la sensazione di trovarsi in acque italiane e vivere le emozioni del popolo degli spaghetti, della pizza, delle tarentelle, delle mafie, dei Sorrentino, dei pulcinella e della camorra di Gomorra).
D’altronde, la relazione della Catalogna col flamenco viene da lontano. Già alla fine dell’800 proliferavano a Barcellona spettacoli di danza gitana in café chantant che spesso, non a caso, avevano nomi che si richiamavano alla realtà andalusa, come Café Sevillano, Café Concierto Sevilla e Café Concierto Triana. Tuttavia, è innegabile che, col tempo, si formò una vera e propria tradizione flamenca catalana. Carmen Amaya, una delle più grandi e innovative danzatrici di flamenco del secolo scorso, era una gitana nata a Barcellona nel 1913.
Questo attiene, insomma, anche alla capacità dei popoli mediterranei di assimilare culture estranee e lasciarsi contaminare dall’altro. La cucina catalana è un’ulteriore riprova di questa tendenza ad aprirsi a gusti, a prodotti e a sapori provenienti da mondi vicini e lontani.
Insomma, niente di male, per carità. Un po’ di flamenco, anche incelofanato, non fa male a nessuno. Anzi. A me piacciono pure i Gypsy King, gitani andalusi residenti in Francia che hanno inventato una versione pop e commerciale della rumba flamenca. Questa è una musica nomade, che probabilmente ha mosso i primi passi nella lontana India e poi si è andata mischiando con i suoni di mezzo mondo già prima di approdare tra Cordova, Siviglia e Granada. E da quel momento il processo di contaminazione e commercializzazione non è mai finito.*
Sento solo qualche nota stridente tra questa musica senza frontiere e la Catalogna autonomista, indipendentista, sovranista e (vivaddio) pure, sempre e comunque, antifa e antifascista.
Ma la Spagna e il mondo intero si nutrono di queste contraddizioni. E io pure, che sono del Mediterraneo e sento che questi e solo questi sono i tre colori della mia bandiera (insieme col giallo del sole, il verde degli ulivi e il rosso del sangue e della lava vulcanica).
“Mi contraddico“, “contengo moltitudini“. (W.W.)
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Se volete saperne di più del nomadismo del flamenco, leggete qua.
Il mare è di tutti. La Costa Brava tra pubblicità e pubblica realtà.
Scorcio di cemento con doccia pubblica.
A Blanes le docce pubbliche sono frequentissime e del tutto gratuite. Ce ne è una ogni centinaio di metri su un litorale privo di lidi concessi a privati e tenuto lindo e pinto dall’amministrazione comunale. È dato in concessione (a seguito di asta pubblica) solo l’affitto di ombrelloni e sdraio, che costano 6 euro ciascuno a giornata (da quello che ricordo è lo stesso prezzo anche nel Maresme, i poco più di 50 chilometri di costa che vanno dal Nord di Barcellona alla Costa Brava).
Blanes, scoglione con doccia pubblica.
La Costa Brava ogni estate (salvo nel periodo della pausa pandemica del 2020-21) ospita poco meno di 20mila stranieri e, in tutta la Spagna, prima del covid, le entrate derivanti dal turismo oscillavano tra l’11 e il 12% del PIL nazionale.
Anche a Blanes, tra giugno e settembre, arrivano migliaia di turisti, in maggioranza francesi, ma le spiagge non sembrano mai troppo affollate. Inoltre, i parcheggi pubblici sono gestiti perfettamente, il servizio di bus e i trenini turistici funzionano a meraviglia e gli automobilisti sono molto disciplinati (non ho mai sentito un clacson suonare né visto un veicolo sfrecciare in città o un’auto fuori posto; oltre al fatto che, prima ancora che imbocchi le strisce pedonali, loro si fermano già per lasciarti passare). Sul lungomare, ampli spazi per pedoni e biciclette. Ovunque grande attenzione per chi si muove a piedi (i semafori segnano i secondi per aspettare il verde; le strade scolastiche hanno il limite di 20 all’ora e sono chiuse al traffico veicolare negli orari di entrata ed uscita degli alunni). Il risultato è che, nonostante l’affluenza di stranieri, anche ad agosto non sembra esserci traffico o caos veicolare sia nel centro che nella periferia della città.
Il semaforo che segna i tempi di attesa.Strada a priorità pedonale.
Frequenti, invece, gli spettacoli nelle piazze e nei locali (frequentissimi e molto frequentati in ogni quartiere di Blanes). Ovunque, ville comunali con giochi, attività e attrezzature sportive per bambini e adulti. Biloteche aperte anche d’estate, schiere di bancarelle notturne, bar, pub e bodegas adatti ad ogni tipo di clientela.
Piazzetta davanti a una celebre birreria cittadina. I bambini giocano, gli adulti bevono e chiacchierano. Lo striscione autonomista ricorda che solo il popolo salva il popolo.
Ah, il mare è pulitissimo e la sabbia mischiata di minuscoli sassolini che rendono più facile pulirsi i piedi quando si lascia la spiaggia.
Dice: perché fai tanti chilometri per farti qualche bagno quando hai tanta costa balneabile in Italia? Dice…
P.s. Quando viaggiamo l’occhio fa la sua parte, e anche gli altri quattro sensi e la nostra sensibilità fanno la loro parte, insieme con la nostra enciclopedia personale, il nostro punto di vista sulla realtà e la cultura in cui siamo imbevuti. Per questo, al ritorno da un paese lontano o da un viaggetto fuori porta, ognuno di noi porta con sé un’altra impressione dell’esperienza vissuta. Le foto di due persone che hanno visitato gli stessi luoghi nel medesimo tempo non saranno mai le stesse foto. È il vizio imprescindibile della soggettività. Nessuno mangia mai lo stesso piatto, guarda lo stesso panorama o ascolta la stessa musica. Ecco, mi sono svegliato che volevo dire una cazzata e la volevo condividere con voi. L’ho detta. Ma sono certo che i vostri sensi, la vostra sensibilità e la vostra cultura la sapranno riempire di significato e daranno senso a queste mie povere e scarne parole nate in un bel giorno di mare e di sole.
P.S. In questi primi 15 giorni di agosto, la temperatura non ha mai superato i 30 gradi; un paio di volte ha anche piovigginato e, di notte, sarebbe utile anche avere un pigiama.
Dal 31 luglio sono a Blanes, con la piccola, in Costa Brava. Nel pullman dall’aeroporto del Prat all’hotel ci sono persone di ogni provenienza, ma si sente solo parlare napoletano. La solita orda di adolescenti convinti di venire a conquistare un popolo da cui è sempre stato soggiogato. In tutta l’ora e mezza del tragitto sbraitano, bevono, urlano e cantano, e in ogni frase, muggito o mugugno appare due o tre volte la parola Napoli o suoi derivati. Due o tre volte l’autista li riprende, ma loro continuano imperterriti a bere e a disturbare. Me ne vergogno. E non è solo vergüenza ajena. Mi vergogno proprio di essere italiano e napoletano come loro. Anche Stefania esprime la stessa vergogna e lo stesso disagio. Quando arrivo a destinazione mi scuso con l’autista in loro vece. Lui si mostra comprensivo e rassegnato. Sono anni che accompagna questi flussi scostumati di ormoni a Tossa e a Lloret de Mar. Per fortuna, vanno tutti negli stessi posti in cerca di droga, figa, cazzi e discoteche. Basta evitarli. Loro e i posti che frequentano. Spero che si divertano, comunque, senza fare troppi danni a se stessi e agli altri. Per fortuna, qui sono tutti abbastanza indulgenti con questa guagliunera. Come l’autista. Ma non so dire se sia più tolleranza o convenienza.
In ogni modo, dopo questo brutto avvio, i primi giorni di vacanza in Costa Brava scorrono sereni, allegri e senza incidenti. Il mare è bello, le passeggiate mostrano scorci incantevoli, la ricezione alberghiera è impeccabile e gentile.
Blanes
Alla partenza, non ho messo nessun libro in valigia. Ho deciso di comprare qui qualche romanzo da leggere in spiaggia, sul balcone o al rientro a casa.
“Blanes se parece a sus playas, en donde se tuestan cada verano todos los valientes de Europa, los de aquí y los del otro lado de los Pirineos, las gordas y los gordos, los feos, los esqueléticos, las chicas más guapas de Barcelona, los niños de todo pelaje, las viejas y los viejos, los enfermos terminales y los resacosos, todos semidesnudos, todos expuestos al sol del Mediterráneo y a la mirada comprensiva de la torre de San Juan, y el olor que se desprende de las playas (es bueno recordarlo ahora, en el largo invierno) es el olor de las cremas corporales, de los bronceadores, de las pomadas de protección solar, que huelen a eso, evidentemente, pero que también huelen a democracia, a historia, a civilización.” Roberto Bolaño, “La Selva Marítima” in El El País, Gennaio 2000.
“Blanes somiglia alle sue spiagge, dove ogni estate si mettono all’arrosto tutti gli arditi d’Europa, quelli di qui e quelli dell’altro lato dei Pirenei, le chiattone e i chiattoni, i brutti, gli scheletrici, le ragazze più belle di Barcellona, i bambini di ogni provenienza e aspetto, le vecchie e i vecchi, i malati terminali e gli sbronzi, tutti seminudi, tutti esposti al sole del Mediterraneo e allo sguardo comprensivo della torre di San Juan, e l’odore che sprigiona dalle spiagge (è bene ricordarlo ora, nel pieno dell’inverno) è l’odore delle creme corporee, degli abbronzanti, delle pomate di protezione solare, che odorano di quello che sono, evidentemente, ma che sanno anche di democrazia, di storia, di civiltà.”
La traduzione è mia. Il testo di Roberto Bolaño. Stamattina sono stato alla libreria Sant Jordi. La libreria che lo scrittore sudamericano frequentò negli ultimi anni della sua vita. Dal 1985 al 2003, Bolaño si stabilì qui a Blanes con la moglie e i due figli. Prima che gli arrivasse il successo che meritava aprì anche un negozietto di bigiotteria.
In sottofondo due frammenti di “Blind” dei Talking Heads (1988)
In una guida che gli ha dedicato l’ufficio turistico cittadino leggo che voleva essere ricordato “come uno scrittore surdamericano più o meno decente, che visse a Blanes, e che amò questo paesino” di 30.000 abitanti fondato dai romani duemila anni fa e poi frequentato da persone di ogni tipo e colore.
Blanes, vista dal Jardín Botánico MarimurtraApparizioni a Blanes
Nella libreria c’è ancora Pilar Pagespetit i Martori, con cui lui si intratteneva a parlare mentre vagava tra i libri. O almeno, dalla veneranda età che dimostra nel suo fisico minuto e curato, a me piace immaginare che sia lei. Le chiedo se hanno disponibile qualche testo di Ernesto Cardenal, poi mi metto a curiosare tra i libri ammucchiati in colonne in ogni angolo della stanza. Per un momento credo di aver osato identificarmi con R.B. Dopo una lunga ricerca scelgo un testo di recente pubblicazione di Lucía Lijtmaer, scrittrice quarantenne nata in Argentina e cresciuta a Barcellona. Avevo sentito parlare del suo acume sia come romanziera che come critica letteraria e specialista di studi culturali.
Nelle prime pagine la voce narrante immagina un suicidio e vagheggia un’inondazione di Barcellona provocata dal cambio climatico e dallo scioglimento dei ghiacciai polari. È una descrizione potente e delirante.
A un certo punto mi rivedo in queste parole che mi riportano sul bus dell’arrivo a Blanes.
” […] primero morirán los pobres, los taxistas paquistanís del Raval, las chicas filipinas de la panadería de la calle Sant Vicenç, la señora Quimeta y su mercería, los guiris de la Barceloneta, todos, absolutamente todos, los holandeses, los franceses, los ingleses y los italianos -nadie echará de menos a los italianos-.” Lucía Lijtmaer, “Cauterio“, 2022
Traduco, non senza essere di nuovo assalito dalle fiamme della vergogna.
” […] prima moriranno i poveri, i tassisti pachistani del Raval, le ragazze filippine della panetteria di calle Sant Vicenç, la signora Quimeta la sua merceria, i turisti della spiaggia di Barceloneta, tutti, assolutamente tutti, gli olandesi, i francesi, gli inglesi e gli italiani – nessuno sentirà la mancanza degli italiani.”
Da ascoltare a voce bassa, bassissima, quasi inesistente.
Era da tanto che non prendevo in mano una chitarra. E si sente! Un paio di giorni fa l’ho fatto e mi è venuta fuori una melodia un po’ malinconica e un po’ sghemba. Una cosa semplice. Ci ho improvvisato subito sopra un testo e, per non dimenticarmene, ho registrato la mia “esecuzione” del povero brano col telefonino. Eccola qui. (Solo per stomaci forti.)
Rivedo solo te, immantinente
Non contento, ho provato a cantare su quella stessa melodia un mio sonetto scespiriano, con qualche leggero adattamento per rispettare il ritmo e la metrica della musichetta. È tutto qua, se c’è la fate a sentire ancora.
Persone felici (desiderio in forma di canzone)
Aggiungo il testo e gli accordi, nel caso qualcuno volesse provare a farne una versione meno indecente. Io, comunque, quello che vorrei, è vedere persone felici, ma finisco inevitabilmente per ammorbarvi per qualche lunghissimo minuto. Mannaggia!
G———————C———-Em—–Em vorrei vedere persone felici ——G——————C————-Em—–Em che vanno avanti a piedi o in bici Em———– F————————–Em tra le campagne oppure in città Em————-F—————–Em senza pensare alla felicità
Em—————–F——————Em ma solamente esser vivi vivendo Em————–F———————–Em come fa il mare o come fa il vento Em———-F———————-Em che spiri forte o che spiri lento Em———-F———————–Em——-Em spira spirando ed esiste esistendo
Em—————Am6 perché se la pensi Gm6———————Em la contentezza si spezza Em—————Am6 perché se la senti Gm6——————–Em come un filo si spezza
Em—-F e tu resti —————————Em con i due capi in mano Em———F solo disperso ————————-Em e da te stesso lontano
Em—————-F come il mio piede ——————Em dal tuo deretano Em———–F e katmandù —————————Em da casoria o da arzano Em———–F e katmandù ————————–Em da crispano o caivano Em———–F come stai tu ————————Em da me stesso lontano lontano lontano
Em——Am6———Gm6—-Em e solamente esser vivi vivendo Em———–Am6——–Gm6Em come fa il mare fa o come fa il vento Em———-F———————-Em che spiri forte o che spiri lento Em———-F————————-Em spira spirando ed esiste esistendo Em———-F——Em-Am7-Em spira spirando e resiste… e resiste…. e resiste
….
N.B. Pubblico questi due video, anche se Stefania, giustamente, mi ha detto e ripetuto che sono incredibilmente “cringe”. Magari provate a toglierlo proprio l’audio e seguite solo i testi. Suppongo che sia quella la parte migliore di entrambi i brani. Il resto viene dalla noia ed alla noia ritorna.
Sono sempre stato restio a partecipare a concorsi e premi di poesia, ma questa volta avevo fatto un’eccezione; questo era il premio dedicato al mio amico Pietro, morto due anni fa senza darci nemmeno il tempo di rendercene conto. E per tanti versi non ce ne rendiamo conto ancora.
Per molti anni Pietro mi aveva invitato a mandare qualche verso al premio da lui fondato per la sezione Roma Tevere del Rotary, ma io sono stato a sentirlo solo ora, quando lui se ne è già andato. Credo di averlo fatto soprattutto come un modo per onorare la sua memoria, ora che quel premio il Rotary lo ha giustamente intitolato a lui.
…
A fine marzo, avevo mandato tre miei testi con insistiti a capo, scegliendoli tra quelli più brevi scritti in oltre quaranta anni di poesia solitaria o social.
…
1. Non esiste più la primavera
È stata un’estate estasiante, passerà lesto l’autunno: e mentre era agosto sarà già natale.
Ormai a cinquant’anni il futuro non è più quello che era e appena ti svegli senti già incombere la sera.
2. In punta di piedi
Quando entri nei miei sogni, fallo in punta di piedi.
Non vorrei che mi svegliassi dal sonno o mi distraessi dal sogno in cui sogno che ti sogno.
3. semi ricordi e radici
schiere di persone che vanno via ingabbiate in lastre di marmo e lasciano in noi semi ricordi e radici piantati tra i vuoti le mancanze e le stanze buie
Io preferivo, la prima. Mia figlia, la seconda. È stata premiata la terza. Con un terzo posto. Ed è giusto così.
Le poesie premiate con medaglie d’oro e d’argento (metaforiche, si intende) erano molto belle, la mia molto legata al ricordo di Pietro e di tanti cari che se ne sono andati in questi anni lasciando in noi semi, ricordi e radici. E non escludo che tra le poesie solo menzionate ieri, e non lette, ce ne fossero di più vibranti, sentite e intense delle mie.
(Poi c’è anche una targa, ma l’ho già messa in valigia e non l’ho fotografata.)
…
Nonostante la nota costante di dolore, è stata una bella serata, piena di ricordi belli condivisi con le sorelle di Pietro, la moglie e tanti suoi amici che non conoscevo.
…
Ora scrivo da un hotel di Roma, aspettando che la bambina si svegli per farci un giro tra i miei ricordi e le sue novità.
…
E conto di rivederlo, di rivedervi, e sentire risuonare tra le pietre le sue parole.
Quasi un meme plurilingue per mia figlia, per i miei alunni e per chi vuol sentire.
No quiero que seas la mejor persona del mundo. No me importa si ganas todas las competiciones o si las pierdes todas. El éxito ajeno y la aceptación del público no lo son todo en esta corta vida. No me importa lo que digan o piensen los demás. Quiero que seas única y hagas todo lo mejor para hacer lo mejor que puedas hacer y ser la mejor que puedas ser. Esto es lo que quiero y solo esto deseo para ti.
I don’t want you to be the best person in the world. I don’t care if you win all the competitions or if you lose them all. Outward success and public acceptance aren’t everything in this short life. I don’t care what others say or think. I want you to be unique and do your best to do the best you can do and be the best you can be. That’s what I want and only that I wish for you.
Não quero que você seja a melhor pessoa do mundo. Não me importa se você ganha todas as competições ou se perde todas. O sucesso externo e a aceitação do público não são tudo nesta breve vida. Eu não me importo com o que os outros dizem ou pensam. Eu quero que você seja única e faça o seu melhor para fazer o melhor que você pode fazer e ser o melhor que você pode ser. Isso é o que eu quero e é isso que eu desejo para você.
Non voglio che tu sia la persona migliore del mondo. Non mi interessa se vinci tutte le competizioni o se le perdi tutte. Il successo esteriore e il consenso pubblico non sono tutto in questa breve vita. Non mi importa quello che diranno o penseranno gli altri. Voglio che tu sia unica e che faccia del tuo meglio per fare il meglio che puoi fare ed essere la migliore che puoi essere. Questo voglio e solo questo ti auguro.
Ma poi, ¿por qué he escrito this text em quatro idiomas?