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A chi somigli? Con chi andrai in vacanza a Katmandù? Cosa rivelano i tuoi occhi? Chi è l’uomo/la donna/l’amico/il nemico della tua vita? Quale è il paese dei tuoi sogni? Come sei realmente e come ti vedono gli altri?
Oppure: Quanto conosci l’italiano / l’inglese / lo spagnolo / l’aramaico? Cosa sai di storia, di geografia o di sport? Sei un maestro del sesso o sei una schiappa? Quali sono le tue competenze logiche, letterarie o informatiche? Qual è il tuo livello di conoscenza dell’ultima serie tivvù o della cucina giapponese?

Tutti fatti intriganti che ci interessa molto sapere e che ci offrono un momento di divertimento o un effimero spunto di riflessione.
Test della personalità e quiz che appaiono con crescente frequenza sui social e ci intrattengono in momenti di noia oppure contribuiscono a mostrare agli altri quanto siamo buoni-bravi-e-belli, attraverso la spasmodica pubblicazione dei risultati che ci sembrano più affini all’immagine ideale che abbiamo di noi stessi (e, caspita, nella stragrande maggioranza dei casi vengono fuori esiti positivi, profili interessanti e risposte divertenti o esaltanti; si vede che siamo proprio in gamba, no!?).

Purtroppo, però, non si tratta quasi mai di giochetti innocui e innocenti come sembrano.
Dietro c’è un’altissima probabilità che si nascondano delle aziende o degli “scammer” che, a nostra insaputa, violano la nostra privacy e si impossessano dei nostri dati personali per cederli a terzi per fini commerciali o per riempirci di posta indesiderata e infestare i nostri computer, tablet e smartphone di malware, virus e specchietti per gli allocchi.

Cliccando spensieratamente su ‘inizia il test’, usciamo fuori da Facebook (dove abbiamo messo i paletti, configurando degli appositi requisiti di privacy) e autorizziamo gli sconosciuti che producono il giochetto a inserire all’esterno del social network i nostri dati e una serie di informazioni che possono avere un altissimo valore di mercato: nome e cognome; data di nascita; città natale, città in cui viviamo, città che abbiamo visitato; lavoro attuale e lavori e lavoretti che abbiamo fatto in passato; scuole, corsi di formazione e università in cui abbiamo studiato o studiamo; i nostri gusti sotto forma di ‘wow’, ‘💓’ e ‘Mi piace’; libri, film, cantanti e programmi tv preferiti; i nostri video, le nostre foto e quelle in cui siamo taggati (incluso quelle contrassegnate come private); il browser che usiamo; le lingue che conosciamo; il nostro orientamento politico e sessuale; le nostre credenze; la lista dei nostri amici; il nostro indirizzo IP e, se li abbiamo inseriti, perfino il nostro numero di telefono, lo stato civile e la nostra mail personale.

Insomma, stiamo attenti e teniamo alto i nostri livelli di privacy. Già lasciamo dappertutto impronte digitali, cerchiamo almeno di difendere qualche frammento della nostra riservatezza e di non esporci alle grinfie di malintenzionati.

Giocando a conoscere noi stessi, mettiamo in gioco la nostra vita privata e la offriamo gratuitamente alla mercé dei mercanti del tempio digitale. Poi, quando pubblichiamo i risultati per mostrarli ad amici e conoscenti, diventiamo esca per chiunque si trovi a passare e, leggendo, sia indotto a giocare anche lui e cedere, inconsapevolmente, una parte della sua privacy.

Lo diceva mia nonna che non si debbono mai accettare caramelle dagli sconosciuti; e nemmeno “cookies“, spam e mele avvelenate.