Quelle mattine
in cui ti senti
catapultato
in un giorno
sbagliato
di un posto
sbagliato
e non riesci
a credere
a quante
sconce
sciocchezze
si possano
ascoltare
sui treni
e nei radiogiornali
(per non parlare
dell’altro mondo
della rete
che tiene tutti
attaccati
agli schermi
delle tavolette
e dei telefonini
come rapiti
da forza
estranea).
Ti guardi intorno
e ti chiedi come
si sia potuto
arrivare a tanto,
mentre
la tua mente
tiene chiuso
il rubinetto
dei ricordi
per difenderti
dagli assalti
della colpa
e della disperazione
che resta lì,
sempre in agguato,
acquattata
in un incrocio
del presente
con un passato
che di certo
conteneva già
tutti i semi
della malapianta
che ha invaso
ogni terra
ogni casa
ed ogni campo
del mondo,
del Paese
e della città.
E ti senti
già il corpo
percorso
da un flusso
che ti sta
penetrando
le orbite
mentre
stai per
cambiare idea
e già
non ti sembrano
più così sconce
le parole
del mattino
di ieri.
Ormai
sei anche tu
un invasato
alla ricerca
di una nuova
preda
da contagiare
con i germi
del menefreghismo,
della stolidezza
e dell’apatia.
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Gli uomini, le donne e i bambini della comunità erano diventati qualcos’altro, dal primo all’ultimo. E ognuno era nostro nemico, compresi quelli che avevano le facce, gli occhi, i gesti e il modo di camminare dei nostri amici e parenti. Non c’erano alleati per noi, chiusi là dentro, e già il contagio andava diffondendosi fuori città.
Jack Finney, “The Body Snatchers“, 1954 (tradotto in italiano col titolo di “Gli invasati” e più noto nella versione cinematografica come “L’invasione degli ultracorpi“).