La scorsa settimana, a inizio d’anno nuovo, mi sono intervistato ed ho raccolto un breve racconto autobiografico da mandare a Barbara Garlaschelli e Daniela Losini per l’iniziativa Corto si può fare. Appena ne ho avuto notizia, ho aderito senza indugi, perché a me piace tanto la scrittura condensata e tutta quella roba del multum in parvo e de “lo bueno, si breve dos veces bueno, si malo, menos malo“.
A stretto giro le due gentili organizzatrici della sfida mi hanno comunicato che il racconto era piaciuto, “ma doveva essere di massimo 1800 battute”. Senza pensarci due volte su, ho ripreso il téxticulo, l’ho tagliuzzato fino a giungere a 1795 battute (titoli esclusi) e l’ho mandato di nuovo insieme con altri due racconti che avevo condensato in giusto mille e ottocento battute (titolo incluso, questa volta).
Dopo qualche giorno, la revisione del primo dei tre racconti è stata pubblicata sul blog di BG nella versione che potrete leggere cliccando qui.
Quella che segue questa frase è invece la versione originale (il che non vuol dire affatto che sia la più compiuta, naturalmente).
Venezia-Bologna e ritorno
Non so se ti ho mai detto di un mio appuntamento a Firenze che se ci fossi andato sarebbe cambiato radicalmente il corso della mia vita. Erano gli inizi degli anni ‘80, era settembre o ottobre, io avevo 17 anni e mi trovavo su un treno da Bologna a Napoli con zio Gennaro. L’avevo raggiunto a Parma dopo un lungo viaggio in cui cercavo una linea che desse un futuro alla mia vita. E credevo di averla trovata suonando per strada con un gruppo di brasiliani, argentini e una spagnola, Ana, che aveva esattamente un anno più di me e che da tre viaggiava senza una meta e con brevi soste. È tutto così vivido e lontano. Mi sembra il sogno di un altro rievocato da un altro gaetano. Poi prendemmo una multa -credo di avertene già parlato- e Ricardo e Jeovà dovettero allontanarsi da Venezia perché avevano il foglio di via scaduto. Ci demmo appuntamento a Firenze, presso la gente che fa musica. Disse proprio così, il buon Ricardo: ¡Hasta luego, nos vemos en Florencia, hacia la gente que toca música! Sembrava tutto così facile e tutto possibile, in quei giorni.
Quella mattina, non trovai più Ana distesa accanto a me su un sacco a pelo fuori i gradoni della Stazione Santa Lucia. C’era solo un biglietto in cui credo che dicesse che si avviava da sola (non avevo ancora tanta dimestichezza con lo spagnolo, a quei tempi).
Decisi di cambiare itinerario: andai a Bologna, e da lì a Parma, e da Parma sulle montagne, come uno di quegli innamorati delusi che nelle pagine del Don Chisciotte si ritirano a vita pastorale su vette inesplorate. A Neviano degli Arduini c’era Gennaro che cominciava il suo primo anno da direttore didattico, e si vide arrivare in direzione il nipote in abiti post-hippy consunti da molti giorni vissuti e dormiti sulle stesse strade. Mi accolse con il tipico aplomb della mia famiglia paterna, anche un po’ divertito, dopo il primo imbarazzo; ma mi invitò a chiamare a casa, dove mi davano per disperso. Mi era arrivata la cartolina militare e dovevo presentarmi una settimana dopo ai fatidici tre giorni (è anche così che si costruisce la personalità di un futuro obiettore di coscienza impegnato nel movimento della Difesa Popolare Nonviolenta).
Una settimana dopo, mi trovavo nella stazione di Firenze sul treno Bologna-Napoli con Gennaro che mi diceva che se volevo scendere potevo anche farlo, ma poi sarebbe stato difficile tornare indietro. E io decisi di andare avanti.
Chi si è preso la briga di leggere qua e là avrà notato che si sono perse un paio di parentesi, un compagno brasiliano e una battuta di dialogo in lingua pseudo-originale. Inoltre, zio Gennaro è diventato zio Ugo, cosa che non potevo proprio perdonarmi. Ecco perché ho scritto questo post. Sentivo il bisogno di ristabilire la verità dei fatti e dirvi che zio Gennaro si chiama zio Gennaro e che qui di zii Ugo proprio non ne sono mai passati e mai ne passeranno.
Un’altra cosa. In breve.
Barbara mi ha gentilmente incatenato scegliendomi in una sua cinquina di thinking bloggers, blogger che leggendosi e “piacendosi” si tengono a mente e creano il “percorso”, la “storia” della propria esistenza su internet. Devo dunque a mia volta segnalare i miei cinque selezionati e riportare le regole per partecipare a questa iniziativa d’origine yankee. Eseguo:
Regolamento
1. Partecipare se si è stati nominati
2. Lasciare un link al post originario inglese
3. Inserire nel post il logo del Thinking blog award.
4. Indicare 5 blog che hanno la “capacità di farti pensare”.
I 5 prescelti
(E qui casca l’asino! Si offenderanno se non li nomino? Si offenderanno se li nomino? Boh!? Mi muovo un po’ a capa di caso e scelgo 5 amici di blog tra quelli che non appaiono né tra i miei link né tra le mie frequentazioni extra-bloggistiche…)
1. Aldebaran
2. Majara
3. Meta(llica)fisica
4. Nellacoloniapenale
5. Petarda
(Mi piace condensare, ma questo post è venuto lungo lungo. Uffa, vado di fretta e questa volta non ho tempo di farla più breve. Scusatemene tanto e grazie per l’attenzione.)