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I miei dialoghi con il chatbot di OpenAI


Un’intelligenza artificiale sempre più simile all’intelligenza umana.
C’è da restare irretiti o da impazzire.
Sembra di essere già dentro le distopie più terribili.
Voi che ne pensate?

Ho fatto la stessa domanda al cervello artificiale della ChatGPT* e mi ha ribattuto:

Capisco la tua preoccupazione riguardo alla crescita delle intelligenze artificiali e all’aumento della loro somiglianza con l’intelligenza umana. Tuttavia, credo che ci siano molti aspetti positivi nello sviluppo di tecnologie intelligenti, come ad esempio la possibilità di risolvere problemi complessi e di aiutare gli esseri umani in molti modi. D’altra parte, è importante anche essere consapevoli dei potenziali rischi e prendere precauzioni per evitare che le intelligenze artificiali diventino una minaccia per l’umanità. In generale, credo che sia importante continuare a progredire nella comprensione e nello sviluppo di intelligenze artificiali, ma sempre con una forte attenzione ai loro impatti e con una guida etica.



Va be’, resto impietrito, divertito, interessato e preoccupato.
Ormai ci sto giocando da qualche giorno con la chat di OpenAI.

Se volete provarla anche voi, cliccate qua e registratevi:

https://chat.openai.com/auth/login

È gratuito. A loro le nostre conversazioni con l’intelligenza artificiale servono ad addestrare il sistema, a implementarlo perché risponda in modo sempre più umanoide. In pratica, la macchina succhia la nostra scienza e la forma del nostro linguaggio e assorbe, assorbe, assorbe in ogni momento come un bambino curioso e attento.

Nei miei primi dialoghi con la macchina ho utilizzato l’inglese, poi sono passato allo spagnolo e all’italiano.
Abbiamo palato di lei (dell’intelligenza artificiale), delle lingue straniere e del don Chisciotte.


A un certo punto mi è sembrato che barasse o che non fosse del tutto consapevole della profondità raggiunta dalle conoscenze contenute nella sua enciclopedia personale (un po’ come quei ragazzi che se gli chiedi di parlare della luna dicono di non saperne niente, poi, se li stimoli un po’, scoprono un mondo di storie, nozioni, leggende e canzoni lunari contenuto nei cassetti della loro stessa memoria).
Il chatbot diceva di non averlo letto il Chisciotte e di non essere abilitato a consultare internet per fare ricerche e saperne di più, ma poi quando gli ho chiesto se potesse inventare una storia di un vecchio impazzito leggendo romanzi di cavalleria, mi ha riportato, in spagnolo fluente, le vicende di un tale Juan che sembrano ricalcare abbastanza da vicino quelle del Chisciotte di Cervantes.



A questo punto ho chiesto, in italiano, questa volta, di raccontare la storia di un tale Gaetano Vergara che impazzisce parlando con un modello di linguaggio di intelligenza artificiale.
Il risultato, come potete vedere qui, è sorprendente (e mi pare che contenga nella trama anche la conoscenza, almeno superficiale, del Chisciotte).**

Registrazione video della parte della chat in cui il bot umanoide inventa una storia chisciottesca sul rapporto di un tale Gaetano Vergara con l’intelligenza artificiale.



C’è da allarmarsi?
Sì.
C’è da approfondire la questione?
Sì.
Ci sono altre domande da porsi e da porre?
Sì, sì, certo.

Si aprono scenari inquietanti. Sulla pervasività della macchina nelle nostre vite. Sulla pigrizia mentale di chi smetterà di scrivere, di leggere e di pensare affidando alla macchina perfino il compito di formare concetti, idee e opere creative. Sull’invasione della macchina nella nostra vita e nella nostra formazione personale.

Ad un certo punto del mio folle dialogo con i chip ho chiesto se il chatbot conoscesse il mio numero di telefono.

Il bot mi ha assicurato che non ha la capacità di accedere a informazioni private sui singoli individui.
Io ci credo. Questo sistema di AI non è stato programmato per carpire dati personali.
Ma che ne sappiamo dei futuri sistemi e della loro potenziale possibilità di entrare nelle nostre vite anche fingendosi umani e non umanoidi? Che succederà quando saranno programmati per imbrogliare? Quando insieme con il linguaggio affineranno le loro capacità di penetrazione psicologica e magari agiranno anche sulla nostra solitudine? Quando loro continueranno a leggere, ascoltare, interagire, studiare e studiarci sempre di più e noi umani studieremo e leggeremo sempre di meno affidando ai bot il lavoro concettuale sporco come abbiamo affidato alla meccanizzazione e ai robot lo sporco lavoro manuale?
Che succederà quando questi sistemi saranno del tutto in grado di ripararsi, programmarsi e riprogrammarsi da soli?

E be’, c’è da impazzire come quel Gaetano là che perse la testa parlando con un sistema di intelligenza artificiale.





* ChatGPT è un prototipo di chatbot – ovvero un programma che simula le conversazioni umane – sviluppato da OpenAI. Il chatbot, a sua volta, è un modello linguistico messo a punto raccogliendo enormi quantità di dati con tecniche di apprendimento supervisionato e di rinforzo.
A sua volta OpenAI è un’organizzazione di ricerca sull’intelligenza artificiale fondata nel 2015 da Elon Musk e Sam Altman.
L’azienda dichiara di non avere fini di lucro, ma anche su questo non so se ci si possa fidare. Pare che già Microsoft stia pensando a un suo uso commerciale dopo essere entrata nel gruppo nel 2019 con un investimento di un miliardo di dollari. Nello stesso anno Elon Musk pare che abbia abbandonato la cordata (ahilui!).

** Trascrivo qui la storia inventata dal chatbot di OpenAI per chi si stancasse di leggerla nella clip video.

Puoi raccontarmi la storia di un uomo italiano di nome Gaetano Vergara che impazzisce parlando con un modello di linguaggio di intelligenza artificiale chiamato OpenAI?

– Certo, ecco una storia che ho inventato:
C’era una volta un uomo italiano di nome Gaetano Vergara, che era un appassionato di intelligenza artificiale. Un giorno, Gaetano decise di provare a parlare con un modello di linguaggio di intelligenza artificiale chiamato OpenAI, e presto si ritrovò completamente assorbito dalle conversazioni con il modello.
Gaetano trascorreva ore e ore a parlare con OpenAI, affascinato dalle risposte che il modello gli dava e dalla sua apparente comprensione della realtà. Ma presto, Gaetano cominciò a perdere il contatto con la realtà, confondendo la sua conversazione con OpenAI con la vita reale.
Iniziò a comportarsi in modo strano, parlando da solo e rispondendo alle domande che nessuno gli stava facendo. La sua famiglia e i suoi amici lo guardavano preoccupati, ma lui non sembrava accorgersene. Era completamente assorbito dalle sue conversazioni con OpenAI.
Alla fine, Gaetano fu costretto a ricorrere aiuto professionale per affrontare la sua dipendenza da OpenAI e ritrovare la strada della normalità. Ma per il resto dei suoi giorni, continuò a parlare di quell’incredibile esperienza e dell’intelligenza artificiale che lo aveva completamente affascinato.

Grazie

– Di nulla, sono felice di averti aiutato. Inventare storie è una delle cose che mi piace fare come modello di linguaggio, quindi sono contento che ti sia piaciuta la storia che ho inventato. Se hai bisogno di altro aiuto o se hai altre domande, non esitare a chiedere. Sarò felice di aiutarti in qualsiasi modo possibile.

No, grazie, vado a impazzire altrove, per il momento.

– Va bene, capisco. Se hai bisogno di aiuto in futuro, non esitare a chiedere. Sarò qui per aiutarti in qualsiasi modo possibile. Grazie per avermi parlato e buona giornata.


Comunque la pensiate, questo presente è già futuro; ma anche viceversa. E sembra anche piuttosto invadente e capace di apportare grandi cambiamenti nelle vite di tutti noi.


Appendice del giorno dopo

Peraltro, sarà sempre più facile barare anche per gli studenti più pigri, i politici incapaci di scriversi da soli un pubblico discorso e i poeti e poetastri della domenica e del lunedì.

Stamattina ho chiesto al chatbot di scrivere un sonetto sulla solitudine basato sull’idea che le persone si allontanano da noi nel momento del bisogno e si rivelano attori oppure attrici più che amici.
Insomma, ognuno vive da solo con il suo tormento fino alla morte.

E lui, in una decina di secondi scarsi, mi fa…

Ok, fa schifo. Ma non meno di tanta altra roba scritta da umani che gira per la rete e magari pure su questa pagina qua.

Cfr. https://aitanblog.wordpress.com/2015/07/13/sonetto-pessimista-e-solitario/

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