cronaca di una serata jazz
Sabato 8 gennaio, di buon mattino, Francesco mi chiama. C’è Famoudou Don Moye in un Jazz Club di Caivano. Suona in trio con Francesco Nastro al piano e Sergio Fusaro al contrabbasso.
Don Moye e Nastro li avevo già sentiti al PJF un paio di anni fa, e mi piacquero più del chitarrista svedese che li accompagnava. Sicuro che ne varrà la pena, decido di assistere a questa loro nuova esibizione in una dimensione più intima rispetto al grande palco di Pomigliano.
Verso le 10 di sera mi ritrovo al Pampero con un gruppo di 12 o 13 amici, per lo più musicisti, o musicofili, e compagne. Quando raggiungiamo il tavolo che abbiamo prenotato sotto il palco, Gino Del Prete e la fidanzata sono già lì a parlare con Famoudou Don Moye. Gino è un giovanissimo batterista, figlio d’arte, che ho conosciuto da poco in una sessione di prove del nuovo combo jazz di Francesco, Luca e Nicola. Mi ha subito impressionato la sua precisione ritmica, il tocco sicuro, il buon gusto e soprattutto una dedizione e una passione per la musica improvvisata piuttosto rara in un ventenne. E mi è risultato ancora più simpatico quando ho sentito che le sue preferenze vanno alle sonorità degli anni ’50 che costituiscono l’ossatura anche del mio gusto jazzistico (a parte il vistoso precedente di Duke Ellington e soci).
Mi piace vedere l’uno di fronte all’altro questo giovane biondo intimidito dal mito, ma sicuro di sé, e la sorridente stazza del sessantenne storico percussionista degli Art Ensemble of Chicago. Mentre parla e sorseggia un cocktail, rivedo Don Moye negli abiti tribali con cui si presentava in scena accanto a Jarman e Flavours, con Lester Bowie in camice da medico della mutua e Roscoe Mitchell in stravaganti giacche borghesi. È vitale e sorridente, si muove al rallentatore, prende in giro tutti e parla molto; ma, dopo che il proprietario del Pampero ne sponsorizza la bravura, intima Gino di tacere, di pensare solo alla musica. E intanto lo stuzzica, lo chiama “fratello ritmico”, annuncia che tra un po’ lo inviterà sul palco ad accompagnare il trio, mentre lui suonerà le congas.
Gino è eccitato, un po’ intimorito ed allo stesso tempo ansioso di aggiungere questa esperienza al suo bagaglio musicale.
Intanto, arrivano Sergio Fusaro e Francesco Nastro.
Nastro e Fusaro sono evidentemente due musicisti di estrazione classica che, come molti jazzisti europei, si sono innamorati della musica afroamericana e cercano un loro accento per declinarla (emblematicamente, Sergio si riscalda e accorda lo strumento suonando con l’archetto le note di una suite di Bach, o qualcosa del genere…).
Poco dopo, il trio comincia a suonare, e cala in sala il relativo silenzio dei jazz club. La musica che viene fuori è fluida, trascinante e mai banale. I musicisti sembrano affiatati. Alternano standard che denunciano una predilezione coltraniana (Impression, Someday my prince will come, All Blues…) a composizioni degli Art Ensamble of Chicago (Odwalla e Villa Tiamo, una dolce e introspettiva ballad in tre quarti). Ascoltiamo anche un’esecuzione di Azzurro che potrebbe trasformarsi in uno standard europeo del calibro dell’Estate di San (Bruno) Martino (d’altro canto solo nella mia discoteca conto già un paio di versioni jazz del celebre brano di Paolo Conte e decine di incantevoli Estati).
Dopo aver apprezzato la buona intesa del gruppo, concentro la mia attenzione su Sergio Fusaro. Il suo contrabbasso offre un accompagnamento preciso e parti solistiche suonate sulle note alte dello strumento con gusto melodico e perizia armonica.
Dal canto suo, Nastro si conferma dotato di buona tecnica, senso del ritmo e capacità di integrazione mimetica con i suoi compagni di viaggio. Lui è un musicista che ha trovato la sua propria voce in uno stile armonico e percussivo; nei suoi grappoli di note, negli assolo e nell’accompagnamento viene fuori un gusto a 360 gradi che va dal be-bop alla musica latina. Suona concentrato: nei solo appare perfino introspettivo, tendente ad uno stato di trance coltraniana; eppure, quando interagisce coi suoi compagni, si mostra divertito ed è prontissimo a dialogare col drumming vigoroso e preciso della guest star americana.
Per lo più Don Moye picchia duro su pelli e piatti, ma fa sentire tutto il suo senso dinamico quando, suonando piano, accompagna sul charleston gli assolo di Nastro e Fusaro con battiti velocissimi e puntuali. Il suo modo di suonare esprime una densa fisicità: l’omone che avevamo visto muoversi al rallentatore su passi incerti, ora domina il palco con sicurezza e muove i quattro arti con sorprendente coordinazione (a parte qualche sbavatura perfettamente mascherata nel flusso sonoro). Dalla sua batteria viene fuori una parte importante della storia del jazz condita di echi poliritmici africani, sonorità brasiliane e senso cubano del tempo.
Nel vederlo e sentirlo suonare così, ad un metro di distanza dal nostro tavolo, Gino mi confessa che per la prima volta l’idea di salire sul palco lo fa sudare, ha paura di non riuscire a esprimersi al meglio. Don Moye, tra un brano e l’altro interagisce con noi, si accorge della tensione del nostro amico ed imita il suo timore portando le unghie di due mani alla bocca e battendo i denti come in un tremito. Trovo la sua gestualità a metà tra un fastidioso atteggiamento da guascone e un senso di sghembo incoraggiamento verso le nuove leve: come dire, ragazzo se vuoi farti le ossa devi vincere la paura, la paura uccide l’anima, senza anima no sound. Gino raccoglie la sfida. Al terzo brano è anche lui sul palco. Il fuoriclasse chicagoano gli cede la batteria e accompagna il trio alle congas. Prima di attaccare col brano, in un paio di secondi, Nastro articola con brevi impercettibili fonemi il ritmo che Gino dovrà tenere, e quando il giovane batterista trasforma quei suoni vocalici in battito di pelli e piatti l’esperto pianista gli fa un amichevole occhiolino di incoraggiamento.
Il nostro amico fa il suo dovere e man mano si rilassa (mentre la sua fidanzata, che prima lo incoraggiava, ora che lui è sul palco, è tesa e immobile). Certo non è facile inserirsi così a freddo in un gruppo già rodato, magari Don avrebbe voluto più interplay col batterista quando fa un assolo di congas, ma Gino suona comunque da par suo e non sfigura.
Dopo il primo tempo, Don Moye invita sul palco anche un percussionista locale, tale Pasquale Palmieri (se la memoria non mi tradisce), all’insegna di un’idea della musica come jam session e confronto che è documentata anche in tante ospitate in dischi italiani che vanno dal quartetto con Marco Zurzolo e Roscoe Mitchell all’ultimo lavoro per big band con Dino Betti van der Noot (ma prima ancora, fin dagli anni ’80 c’erano stati gli incontri con James Senese e Tullio De Piscopo, dei quali imita con perizia la calata dialettale napoletana).
Nell’ultima parte del concerto, i componenti del trio chiamano di nuovo Gino Del Prete sul palco e lui, ormai caldo, suona ancora meglio e con più maestria e scioltezza della prima jam session.
Nel gran finale, ci troviamo di fronte a quattro jazzisti che si passano la palla in un giro di assolo sapientemente guidato da Nastro, e tutto il tavolo in cui sono seduto porta il tempo con crescente orgoglio per il nostro giovane amico di belle speranze.
That’s jazz, baby.
utente anonimo ha detto:
che meraviglia!!!! in ogni riga traspare il tuo amore per la musica e il jazz in particolare……nn aggiungo nulla perchè sono così ignorante a riguardo…. ma è bello leggere che anche qui attorno si suona bene. Ciao!!!
Pervinka
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utente anonimo ha detto:
Mi piacerebbe sapere come si chiama la Combo Jazz di Francesco, Gino, Luca e Nicola.
Firmato Jacinto.
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odyseo ha detto:
hummmm… suena muy bien, se puede respirar el ambiente del local a través de las imágenes…
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melusinach ha detto:
la lunghezza e il tema.. mi scoraggiano, che di musica so’ proprio ignorante.
Però ti saluto lo stesso :-)
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artemisia80 ha detto:
a spasso per blog sono capitata qui! anche io non aggiugno nulla perchè musicalmente sono parekkio ignorante,…..cmq alla prossima!
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aitan ha detto:
#1
Grazie, Pervinka.
cià cià
#2
Caro Jacinto, piacerebbe saperlo anche a me, visto che sono così creativi che cambiano continuamente nome: Costloss Combo Jazz, Night ‘n Day, La Rivolta dei Baroni, Napoli Nord Jazz Quartet…
#3
Agradezco tu comentario sonoro y visivo, Odyseo…
#4
Per quanto dispiaciuto per il tuo scoramnento, Melusina cara, ti saluto lo stesso anch’io.
#|;o)X
#5
Spero che la passeggiata occasionale ti sia stata gradita, Artemisia.
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nocedifool ha detto:
ah! clap clap clap yeah uiiiiii yeeeeeessss
ma lo sai quant’è raro sempre più raro che accadano cose simili? no dico lo sai?? che i concerti jazz oggi sono tutti chiusi e decisi e perfettini, altro che jam! bello. davvero bello!
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Medicineman ha detto:
il fatto è che mi sono stancato di subirla, la musica, ora voglio provarci in prima persona. prenderò anche lezioni di solfeggio da mio figlio, che è diplomato, quindi vedi a che grado di abiezione giunge un uomo pur di impugnare due bacchette e pestare il pedale del rullante…
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precipitandosivola ha detto:
fantastico
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ruckert ha detto:
Non conosco i musicisti di cui hai scritto, ma devo dire che ho gradito non poco il resoconto che ci hai regalato, anche perché … suonava :)
Volevo che mi illuminassi su un dubbio ritrovato nella lettura, che mi accompagna da tempo: il termine “assolo”, tenuto conto chiaramente del fatto che la lingua cambia di continuo, può essere utilizzato al plurale, oppure non corretto? So che si usa molto la parola “assoli” ma non ho mai capito se è esatta o no. Ciao e grazie
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justinetua ha detto:
che meraviglia. sprazzo di luce in un mattino blu livido.
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zop ha detto:
mi è venuta voglia di musica, adesso! z
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Flor ha detto:
Mi hai fatto venire in mente “sotto le stelle del jazz”… ma col “jazzzzzzzzzzz” pronunciato come fa Conte
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aitan ha detto:
#7
Beh, sì, noce, in effetti anche nel jazz si va perdendo il gusto dell’avventura e della sorpresa ed il piacere di improvvisare collettivamente, magari facendolo senza troppe precauzioni anche con degli sconosciuti.
Ed è un gran peccato di cui, se esiste un aldilà, risponderemo di fronte ai santi della musica sincopata.
#8
Capisco e condivido le tue abiezioni, medicineman; anche se io preferisco tormentare corde e fiati, piuttosto che bacchette e pedali…
#9
Grazie per esserti lasciato entusiasmare, p.s.v..
#10
Mi fa piacere che tu abbia sentito risuonare il mio resoconto, ruckert, e un po’ mi meraviglia sapere che tu non conosca gli AEoC.
Quanto al dubbio sul mio assolo linguistico, è stato un mio svarione che, dopo averti letto, ho già provveduto ad emendare (non mi va di diffondere parole spurie sul mio blog). Insomma, da quello che mi consta, *assoli si usa, ma non è esatto.
Grazie per avermelo fatto notare.
#11
Sono contento di aver aperto uno sprazzo di luce nel tuo mattino blu livido, justine.
#12
Corri, dunque, prima che passi la voglia, zzzzzzzop, e magari ascolta un po’ di jazzzzzzz.
#13
Cara flor ti rimando ad un rigo qua sopra (#12) e ne ribadisco il suggerimento estendendolo a tutti i lettori della presente frase.
¡Olé!
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farolit ha detto:
Ragazzi miei, come sempre in queste sofisticate occasioni – recensioni di un evento musicale succulenteo – rimango senza parole, con la voglia di esserci … e con una richiesta di mp3 on-lne per l’autore del post!
:-D
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NicDwaRazy ha detto:
ogni volta che leggo le tue recensioni musicali mi rendo conto della mia pochissima cultura musicale.ma attingo e ti inspiro forte chissà che questo bellissimo virus non contagi anche me…
baciotto aitan.
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Effe ha detto:
naturalmente, il segreto è nella qualità e nella quantità del ron ingollato
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colfavoredellenebbie ha detto:
Encantada :)
o.t.
proficuo mercoledì?
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aitan ha detto:
#15
Mi dispiace, querida farolit , ma questa volta proprio non ti posso accontentare. Non ci sono registrazioni dell’evento né mp3 piratati sul mio computer.
#16
NicDwaRazy, che il baci8 ti contagi!
#17
Naturalmente, effe, non hai tutti i torti (ma qualcuno sì).
#18
Encantado de encantarte, colfavoredellenebbie (quanto al mercoledì, di tutto riposo, o quasi) .
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jaero ha detto:
Don Moye è un personaggio, ho avuto il piacere di scambiarci quattro chiacchiere e di averci a che fare più volte: ma il ricordo più bello è legato a quando lo vidi suonare ad un corso per bambini: erano tutti attratti da questo omone che batteva le mani su bonghi e congas divertendosi appunto come un bambino. Un grande artista, ma anche simpatico e affabile, quindi anche un grande uomo.
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aitan ha detto:
Sì, jaero caro, Don Moye è un personaggio, un grande, un grande artista e un gran bambinone…
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