Il mistero delle parole (interludio)

Tag

, ,

Una strofa di/a/da/in/con/su/per/tra/fra cui non so bene cosa fare

Al di fuori di quelli della carne
Migliori doni giammai ho trattenuto*
Se non quelli composti di parole
Che a iosa ho dato e ricevuto
Senza sapere bene cosa farne

* oppure tenuto/avuto/goduto


interludio bis

Audio generato dall’IA di Udio su un mio testo dello scorso anno.


Richieste artificiali di umanità

Tag

, , , , ,

A proposito di captcha e intelligenza artificiale generativa

Uno dei paradossi di questi strani tempi è che trascorriamo molto tempo a rispondere a dei CAPTCHA per provare a dei bot artificiali che noi siamo esseri umani e non bot artificiali. E più i bot diventano bravi a sembrare umani, più i CAPTCHA si fanno complicati anche per noi umani che siamo costretti a trascrivere sequenze di lettere illeggibili prive di senso o a individuare semafori o biciclette o strisce pedonali in foto sfocate, minuscole e mal esposte.

Finisce che chiederemo all’intelligenza artificiale di darci una mano per fare capire a un’intelligenza artificiale che siamo umani. Pure troppo umani.


Video illustrativo

Il video mescola immagini originali generate dall’AI con immagine da me medesimo umanamente generate.
La musica è stata creata con MusicFX.

aitanblog.wordpress.com/2024/04/27/nelle-cucine-artificiali-di-google/


L’ideale secondo Patrizio

Tag

, , ,

A proposito dell’ultimo album di Trampetti

Nato nel bel mezzo dello scorso secolo, Patrizio Trampetti è un artista poliedrico che ha cominciato la sua carriera professionale nel 1969 come chitarrista e cantante della Nuova Compagnia di Canto Popolare e, negli anni, ha proseguito la sua attività creativa come autore di canzoni, attore teatrale, cantautore e compositore di musiche per teatro e tivvù.
Un artista che tante volte si è dovuto risvegliare e cominciare da zero, come scrisse lui stesso tanti anni fa in quel capolavoro di testo portato al successo da Edoardo Bennato che è “Un giorno credi”, senza dubbio una delle canzoni più belle e persistenti degli anni ’70.

Un giorno credi di essere giusto
E di essere un grande uomo
In un altro ti svegli e devi
Cominciare da zero
Situazioni che stancamente
Si ripetono senza tempo
Una musica per pochi amici
Come tre anni fa
A questo punto non devi lasciare
Qui la lotta è più dura ma tu
Se le prendi di santa ragione
Insisti di più

E ancora oggi, Patrizio continua a insistere, a combattere e a navigare controcorrente in un mercato musicale sempre più asfittico e asfissiante.

L’ideale“, l’album di cui voglio parlarvi oggi, se faccio bene i conti, è il decimo disco firmato a suo nome dopo svariati vinili, tournée e concerti realizzati con la Nuova Compagnia negli anni ’70. Un viaggio contromano alla ricerca di un’identità perduta nei meandri di un tempo in cui sembra decaduto ogni ideale e gli amori svaniscono o sembrano sempre sul punto di finire.
Fin dalla copertina, si vede che si tratta di un disco di lotta, una lotta strenua e pacata di un omone di oltre 70 anni, ancora pieno di energie e voglia di far sentire la sua voce.

Ma vediamola più da vicino questa copertina, realizzata sotto la cura grafica di Lorenzo Cammisa, cui faccio i complimenti anche per aver usato per i testi caratteri a stampa compatibili con la dimensione del CD e la visione ridotta degli acquirenti di vecchia generazione (in genere, si continuano a usare font che erano adeguati per la stampa sulle fodere degli elleppì, con il risultato che su cd le scritte diventano minuscole e pressoché illeggibili).
Come potete vedere qui sopra, la copertina de L’ideale riprende una foto in bianco e nero di un corteo studentesco che ci riporta al ’68 e al maggio francese.
PT rivela che uno dei ragazzi inquadrato nell’atto di protesta era Alan Frenkiel (nella foto, l’ultimo a destra), artista, scrittore, produttore musicale e critico d’arte statunitense, ma innamorato di Napoli, di Positano e dell’Italia. Se quella foto fosse stata scattata qui ed ora, molto probabilmente sarebbe stato manganellato e non avrebbe fatto in tempo a suggerire a James Senese e a Franco Del Prete il nome dei Napoli Centrale (perché pare che fu proprio Alan Frenkiel, insieme con Shawn Phillips e Raffaele Cascone, a indicare quella denominazione di ispirazione ferroviaria per i fuoriusciti degli Showmen).
Trampetti aggiunge che, quando uno dei tecnici che ha lavorato al disco ha messo la copertina su Facebook, la multinazionale dei social ha censurato l’immagine per istigazione alla violenza. Cosa, questa, che lui ha preso come una sorta di bollino di qualità: “Vuol dire che l’album è veramente contro, ma è contro anche le stronzate e la mentalità imbecille degli algoritmi. Il mio, di questi tempi, è un disco combat!”.

Come il precedente “O sud è fesso” (2021), Patrizio ha scritto e registrato l’album a quattro mani con Jennà Romano, che è anche produttore, autore delle musiche e arrangiatore di questa nuova e coraggiosa impresa discografica. Peraltro, Jennà nel disco suona anche chitarre, basso, synth, organo e dulcimer, insieme con tanti altri bravi musicisti che si sono avvicendati nella registrazione degli undici brani. Provo a citarli tutti, sperando di non dimenticarne nessuno: Michele Fazio (piano), Mirko Del Gaudio e Francesco Del Prete (batteria), Giovanni Sorvillo (sax tenore, chitarra ritmica, cori), Filippo Piccirillo (piano e organo), Ferdinando Ghidelli (slide guitar), Tony Cercola (percussioni), Marino Sorrentino (tromba), Maria Russo e Germana Grano (cori), Pietro Ricci (zampogna) e Victor Cuckov (piano), cui si sono aggiunti gli ospiti speciali: Tricarico, Jorge Coulón, Pietra Montecorvino, Claudia Gerini, Isa Danieli, Sandro Ruotolo e la Bulgarian Simphony Orchestra diretta da Carlo Siliotto.

Ma veniamo all’ascolto.

La prima traccia del CD è “L’Italia è qua”, un brano scritto da Jennà Romano e da Tricarico e cantato con lo stesso Tricarico. Apparentemente l’andamento è scanzonato e un po’ alticcio, ma sembra nascondere la tristezza per una donna andata via dal gregge italico.

oh, mio pastore italiano, queste pecore dove vanno?
la strada per loro è sempre quella
il lupo non è una pecorella

Segue la canzone che dà il titolo all’opera, che, su una suadente ritmica in levare, narra la storia di un incendiario diventato pompiere: un ex hippie ora direttore di banca che, come tanti capelloni, un tempo cantava la rivoluzione facendo eco al “Pueblo Unido” cileno e ora nega un prestito a un amico in difficoltà economica. In coda al brano, colpo di scena, ascoltiamo la voce di Jorge Coulón, storico chitarrista degli Inti-Illimani che recita in spagnolo:

Hemos cambiado, nosotros pensábamos cambiar el mundo y el mundo nos ha cambiado a nosotros.
Cada vez más encerrados en nuestros egos, en nuestra soledad, nosotros y nuestros teléfonos inteligentes. La red nos devora y nosotros lo ignoramos todo. El hambre en el mundo. La guerra. El hambre de paz en la tierra. 
Pero, ¿dónde están Salvador Allende y Mandela? ¿Dónde están Martin Luther King, Woodstock y la Festa dell’Unità?

Ovvero, per i non hispanohablantes:

Siamo cambiati, noi pensavamo di cambiare il mondo e il mondo ha cambiato noi.
Sempre più chiusi nel nostro io, nella nostra solitudine, noi e i nostri smartphone. La rete ci divora e noi ignoriamo tutto. La fame nel mondo. La guerra. La fame di pace sulla terra.
Ma dove sono Salvador Allende e Mandela? Dove sono Martin Luther King, Woodstock e la Festa dell’Unità?

“Lotta ‘e classe” torna ad evocare i tempi in cui si facevano cortei in nome degli ideali. Il testo però si intreccia in uno gliommero, una matassa in cui si parla di amore, di disillusioni, di poveri cristi tartassati dalla vita e dalla povertà economica ed etica dei nostri tempi. Il tutto intessuto in un ordito molto riuscito, in verità.

Nel brano successivo, torniamo ad ascoltare un ritmo in levare vagamente reggae, che, con l’accompagnamento della voce graffiata e graffiante di Pietra Montecorvino, ci ricorda che “’A vita po’ cagnà”.
Il brano è una bella dichiarazione d’amore e cambiamento scritta, negli ultimi anni della sua vita, da Franco Del Prete insieme con Jennà Romano, Giovanni Sorvillo e Massimiliano Gaudio. Nel finale, dopo una intrigante tromba in stile mariachi, ascoltiamo uno scambio di battute in itañol tra Patrizio e il compianto Franco, registrato poco tempo prima della sua scomparsa. In un senso di continuità ideale, nel disco ascoltiamo il suono della batteria di Franco preregistrato in un provino insieme con quello di suo figlio Francesco Del Prete.

Sull’onda di una struggente malinconia accresciuta dalle note di una diamonica, arriva “Ciao Luì” cantata in coppia con Claudia Gerini e dedicata a Luigi Tenco.
Il testo, rievoca le sensazioni di un Patrizio adolescente nell’apprendere la notizia della morte del cantautore genovese. Luì(gi Tenco) è descritto come un idealista malato d’amore e di delusione, un artista che ha provato a resistere contro la musica più commerciale e plasticosa e ne è uscito sconfitto, all’insegna di quell’intreccio di idealismo e disillusione che è la nota dominante di tutta questa raccolta di canzoni.

‘a musica t’ha futtuto
ma ‘o show nun è fernuto

[…] notizie dalla radio:
se sente chianu chiane lontano lontano

Nel finale il sax tenore di Gianni Sorvillo aggiunge drammaticità all’atmosfera creata dalle musica e dalle parole di commiato.

A seguire, “Fuoco lampe e ammore”, uno dei brani più rock dell’album. È il caso di dire che Patrizio ha spesso ricordato che prima di entrare a far parte della Nuova Compagnia aveva un gruppo rock con Giorgio Zito, il minore dei fratelli Bennato.

Poi è la volta di “Comme va a fernì”, uno splendido duetto con Isa Danieli sulla fine di un amore. Un brano dall’impianto classico introdotto da una chitarra spagnoleggiante.

chiste ammore è come a n’abbaglio
ma me fa campa’

stu dolore ‘e capa è cchiù forte
nun se dorme manco stanotte
ciente gocce ‘e suonne perdute
nun abbastane pe n’ammore fernuto

A mio modo di sentire, uno dei brani più riusciti del disco.

Anche se poi viene “Natu suonne” ed è un altro coacervo di emozioni accompagnate dalla chitarra slide di Ferdinando Ghidelli e dalla voce di Jennà Romano che suona, in questo brano molto texano, anche chitarra, basso e organo.

E la tensione emotiva non si abbassa nemmeno con la canzone a seguire: “La vita degli altri”, con Sandro Ruotolo che intervalla il canto di PT con il racconto della storia di Irina, sullo sfondo tragico e interminabile della guerra russo-ucraina.
Una canzone piena di idealismo e ideali traditi e mortificati anche questa, scritta da Patrizio e Jennà insieme con lo stesso Sandro Ruotolo, che, tra le altre cose, cita i versi di Bertolt Brecht sulla crudeltà degli scontri armati e sul loro accanimento sulle popolazioni già oppresse dalla fame e dall’indigenza, quei versi scolpiti nella mente degli antimilitaristi di tutto il mondo che spiegano che dopo la guerra “Fra i vinti la povera gente faceva la fame. / Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente“.

Poi è la volta di “Avrei preferenza di no”, in cui ha collaborato al testo anche Francesco Palmieri, estensore anche delle note di copertina de L’ideale.
Un altro brano rock, a tratti anche punk, ma punk all’italiana.
Il testo è un epitome del disinganno e dell’idealismo di questo disco della maturità e dell’eterna giovinezza di Patrizio Trampetti.

Ideali persi come lettere morte
Smarrite nelle sere sotto celi e mari
Spedite che non sono mai arrivate
A indirizzi sbagliati o sconosciuti

Amori svaniti e ricordati
Tra persone cambiate o già partite
Verso strade familiari
Che diventano sognate

“Simme rre” è la chicca finale dell’Ideale.
Un brano scritto insieme con Carlo Silotto che dirige anche la Bulgarian Simphony Orchestra su cui si staglia la voce di Trampetti come ai tempi della Nuova Compagnia e della Compagnia del Cerchio (Quella della Gatta Cenerentola).
Un brano da un tono differente dal resto del disco, ma improntato allo stesso carattere idealistico e anarchicheggiante che fa di ognuno di noi il re, l’imperatore e il padrone di se stesso.

simme rre
simme a bellezza,
rre rignante e ‘mperatore
nuje simme rre ‘e curona,
rre ‘e passione,
patrone ‘e nuje.

In definitiva, un bel disco in cui sono belle anche le rughe di tanti ideali traditi e amori persi. Un disco resistente e ben arrangiato che merita un ascolto attento e ripetuto.

Ubi erant, sunt et erunt?

Tag

, , ,

Ogni trono ha una gamba lesionata

Dov’erano i fascisti?
Dove sono i berlusconiani,
i socialisti e i renziani?
Dove saranno i meloniani,
gli sfascisti e i leghisti
di domani?

Ogni trono ha una gamba lesionata, ogni corona è pronta a scivolare dalla testa tronfia del monarca di turno o a capitombolare con la testa mozza, ogni scettro è in bilico, in equilibrio precario, pronto a cadere giù come uno zimbello qualsiasi, come un birillo colpito da una palla di ferro; e caduto uno ne cade anche un altro e un altro e un altro, in un tragicomico go-down che sono tutti pronti ad applaudire, anche quelli che non hanno toccato palla.
Dopo lo avevano visto tutti che il re era nudo, anche quelli che lo lodavano per la bellezza delle vestimenta e dei mantelli. Dopo nessuno era stato fascista e nessuno democristiano.


Video illustrativo con immagini originali e musica generata dall’AI.

Trentatré di Lorenzo Cammisa

Tag

, ,

Storia di 3 provinciali universali

Ieri sera sono stato all’anteprima di “Trentatré“, opera prima di Lorenzo Cammisa, che si è tenuta al cinema “La Perla” di Agnano nell’ambito del Bagnoli Film Festival.
Lorenzo di questo film ha scritto il soggetto e la sceneggiatura, ha curato la scenografia, il montaggio e la regia ed ha assunto il ruolo di uno dei tre protagonisti maschili. In qualche modo, nel cinema degli inizi del terzo millennio, si torna a quel cinema delle origini in cui Chaplin,  Buster Keaton e Erich von Stroheim giocavano più parti in commedia, per così dire.

Gli altri due protagonisti di Trentatré sono Giuseppe De Rosa e Luciano Giugliano. Bravissimi. E brave e bravi assai anche le altre attrici e gli altri attori che hanno preso parte a questa impresa artistica di periferia: Miriam Candurro e Gina Amarante (che vengono da questa fucina di talenti che è diventata “Un posto al sole”), Gianni Parisi, Rosario Verde, Dario Biancone, Gigi Savoia, Adele Pandolfi (anche lei conosciuta al grande pubblico per aver preso parte al primo migliaio di puntate di “Un posto al sole”), Lello Ferrante e Laura Tresa.
Ma vengo alle mie impressioni personali da spettatore appassionato e incompetente.

Trentatré è un film dei margini capace di imporsi anche fuori dei margini. Una storia “glocale” che può parlare alla noia, al mal di vivere e alla disillusione di chiunque in qualsiasi parte del mondo (più o meno). La storia di tre trentenni di provincia descritta con uno stile neo-neoralista, crudo ed essenziale, che lascia spazio anche a momenti di autoironia, comicità e lirismo.
Uno spaccato di vita. Sette giorni di normalità e delirio di tre giovani traditi e raggirati dalla generazione scaltra e disillusa che li precede (Aristide, il giornalista in cerca di scoop e senzazionalismi; il prof universitario che ha una storia con la sua tesista; il sindaco di sinistra pragmatico, utilitarista e cialtrone e il criminale cow-boy che si è arricchito col pizzo e sta sempre strafatto).
L’unica soluzione alla vita grigia e stagnante di questa cittadina del Sud Italia sembra essere una fuga verso dentro, come se il mondo fuori dalla provincia non esistesse o esistesse solo di striscio: le birre, le canne, la coca; la quotidiana parentesi dalla realtà, seduti fuori dal bar di Platini (magistralmente interpretato da Rosario Verde); un sesso monotono, ripetitivo e insoddisfacente; la cultura, anche se con la cultura non si mangia, se non si è disposti a scendere a compromessi con il reale; il rifugio nel privato (il riflusso di una vita a tre).

Ma Trentatré è anche un film sulla pervasività dei social nelle nostre vite sempre più asociali, sulla ricerca tossica del consenso ad ogni costo, sulla realizzazione personale in un mondo sempre più scaltro, competitivo e vuoto.
Ho trovato belli anche i non detti nei rapporti sentimentali dei cinque o sei protagonisti del film (mi rendo conto che, per chi si ostina a giocare al lotto, sto dando i numeri). Intensa assai l’interpretazione senza parole di Giuseppe e Ramona all’uscio di una sala conferenze universitaria.

Detto così sembrerebbe che ci sia troppa carne a cuocere per un paio d’ore di visione, ma la narrazione (salvo qualche lungaggine da opera prima) scorre fluida nell’arco dei sette giorni in cui si svolge la storia, e le fa buona compagnia la musica di Jennà Romano (che ascoltiamo anche in versione canzone attraverso l’autoradio del giornalista Lucio e in due momenti salienti nel finale del film). Peraltro, mi ha fatto assai piacere risentire le note di “Ammore che nun pareva ammore”, un bolero di Jennà che finora avevamo sentito solo nella versione di Peppe Lanzetta. Lui non lo sa, ma, nella sua fluida semplicità, è una delle sue composizioni che preferisco.

Va be’, mi fermo qua e lascio a voi il consiglio di cercarvelo e andarvelo a vedere Trentatré, e a Lorenzo mi permetto di aggiungere il suggerimento di operare qualche piccolo taglio che dia più ritmo alla narrazione e valorizzi la storia, che trovo molto bella ed emblematica di questi nostri contraddittori tempi da inizio millennio e fine dell’era analogica.

Sogno del Primo Maggio

Tag

, , , , , ,

Versione cantata in modo artificialmente intelligente della mia Rap/sodia del Primo Maggio, un brano che riciclo da vari anni per fare i miei auguri a tutti coloro che il lavoro lo creano, lo fanno o lo cercano.

Aggiungo le miei maledizioni per quelli che il lavoro lo distruggono, lo disprezzano o lo sfruttano e dedico le mie parole a chi di lavoro, pure quest’anno, è crepato.

La canzone l’ho realizzata con Udio, un app musicale di intelligenza artificiale di cui ho già parlato qui.

Chi cicala e chi formica
È una storia antica
Uno mangia e l’altro fatica

La cicala e la formica
La cicala e la formica

Io invece sogno
un primo maggio intelligente
No di chi fa tanto
e di chi non fa niente
e ci guadagna pure tanto
sulla schiena
sulle spalle
e sulle palle
della povera gente

Dignità e Rispetto
Lavorare per vivere
e non vivere per lavorare
Dignità Rispetto e Sicurezza
Lavorare per vivere
e non morire per lavorare

Chi cicala e chi formica
È una storia antica
Uno mangia e l’altro fatica

La cicala e la formica
La cicala e la formica

Rispetto Sicuro
Sicurezza e Giustizia
Distribuire i pesi
e tutti equamente
ricompensare

Lavorare bene
e nessuno il lavoro
d’altri sfruttare

E che nessuno
debba più
malvivere
o morire
di lavoro
di non lavoro
o di lavorare


Nota tecnica

Contrariamente a quanto ho scritto nel post dello scorso 28 aprile, mi sono reso conto ora che si possono prolungare i brani per più di 30 secondi con l’opzione “extend version“.
Inoltre, ho visto come aggiungere <bridge>, <chorus>, <drop> e parti strumentali ai brani.
L’applicazione mi sembra molto efficace, ma  immagino che tra i programmi a pagamento ci sia di meglio.
Per chi di musica campa, potrebbe essere un problema; anche se credo che ancora niente e nessuno possa sostituirsi all’emozione di qualcuno o qualcuna che suona e canta davanti a te dal vivo dei brani composti e scritti da altri esseri umani.
La presenza fisica di un artista crea un’atmosfera che non può essere replicata digitalmente. Un interprete in carne e anima crea una connessione col suo pubblico e può prendere decisioni spontanee e cambiare il corso di una performance in base al feedback del pubblico che gli sta di fronte. Ogni performance dal vivo è e restarà unica e irreplicabile; spero. E spero che non perderemo mai lo stupore e l’emozione di ascoltare qualcuno suonare e cantare brani creati dalla competenza, dall’intelligenza e dall’emotività umana.
Intanto, mi aspetto di vederne ancora tante. Tipo brani scritti dall’IA e interpretati da musicisti veri con micro-variazioni umane e poi ripresi dall’IA, riaggiustati tenendo conto delle variazioni e poi ridati a musicisti veri perché tornino a interpretarli e riconsegnarli all’IA in un continuum che può andare avanti all’infinito (o fino all’umano sfinimento).
Io, da parte mia, l’IA non la temo più  di tanto, e neanche la rinnego, ma credo che vada usata solo come supporto all’agire e al creare umano. Almeno per il momento…


Appendice del 4 maggio (nuova versione)

Un paio di giorni dopo la pubblicazione di questo brano di AI+TAN (dove AI sta per Artificial intelligence), il compositore Filippo Minoia a.k.a. Gomena ha scritto e suonato in fretta e furia anti-digitale una nuova musica per accompagnare il mio testo e dimostrare che la mente, il cuore e la mano umana sanno fare di meglio dell’intelligenza artificiale generativa.
Potete ascoltarlo qua e dirmi se siete d’accordo con lui e con me che questa è la versione migliore de La cicala e la formica.

m.soundcloud.com/gomena/la-cicala-e-la-formica/


Un problema per ogni soluzione

Tag

, , ,

Benzina buttata sul fuoco

In ogni parte del mondo e ad ogni gradino delle scale gerarchiche che organizzano le società per livelli di potere e di sottomissione, ci sono sempre quelli che risolvono i problemi e quelli che i problemi li creano, li intensificano e, qualche volta, li moltiplicano, perfino; come pane, pene e pesci parabolici che anziché sfamare il popolo lo intossicano e lo affogano. In genere, questi intensificatori di difficoltà sono dotati di una speciale capacità che consente loro di trovare un problema per ogni soluzione concepita dai primi (i primi che ho citato, intendo, senza avere alcuna intenzione di aggiungere alle gerarchie esistenti altri criteri qualitativi in base al merito o a dubbi strumenti di misurazione di capacità, attitudini e competenze).

In questo modo, i risolutori vivono una vita piena di ansie e di frustrazioni nella perenne sensazione di star spegnendo il fuoco con la benzina, mentre i distruttori sono in uno stato di continua (auto)esaltazione e si sentono più bravi e più capaci dei loro sfortunati antagonisti. Talvolta, i poveri risolutori finiscono per invidiare a tal punto la posizione dei creatori di problemi da provare a vestirne i panni, con risultati scadenti gravati da forti sensi di colpa che incidono negativamente sul loro stato di salute e rendono ancora più instabile ogni equilibrio personale e collettivo. Io stesso, in questo momento, sento una mitragliata di fitte al fegato e ho l’impressione di stare sul punto di cadere, mentre penso che la realtà sia più complessa di così e che tante volte una sola persona (o una persona sola) possa contenere decine di cosiddetti risolutori ed un numero altrettanto cospicuo di cosiddetti creatori che generano, intensificano e moltiplicano i problemi gettando benzina sul fuoco e consumandosi nell’incendio e nel conflitto da lui e da loro stessi provocato o appoggiato.
Insomma, mi contraddico. Contengo moltitudini. E quando sembro sereno, sono solo la più diffusa delle nubi.
Del che è verbo e carne. Ma carne da cannone, da canzone o da cazzone, se mi lasciate passare senza troppa difficoltà questo scivoloso e futile turpiloquio da fine testo.


BenZina sul Fuoco
Video-illustrazione piuttosto enigmatica anchiché no


Querido amigo rimatore in versi

Tag

, , , , , ,

Considerazione sulla pseudopoesia altrui e su quella mia in versione scritta e in versione operistica cantata da tenori e soprani artificiali di Casa Udio

Vi propongo la lettura e, soprattutto, l’ascolto di una serie di versi che ho scritto qualche giorno fa e che ho trasformato in un brano in stile operistico sfruttando l’intelligenza artificiale generativa di Udio, un recentissimo modello di IA rilasciato in versione beta lo scorso 10 aprile.
Da quanto ho capito, in questa release gratuita non si possono creare brani più lunghi di una trentina di secondi. Pertanto, gli ho fatto generare una ventina di frammenti audio, poi ne ho scelti 7 o 8 e li ho remixati un po’ in fretta per l’urgenza di mettere il brano in rete e farvelo sentire appena sfornato.
Il risultato, secondo me, è sorprendente, considerato anche che, partendo da un testo preesistente, non ci ho messo più di un’oretta per arrivare al prodotto finale.
Come per i due frammenti sonori creati ieri con MusicFX, c’è voluto molto più tempo per creare il video che per arrivare alla concezione, alla generazione e al remix dei brani.


La cosa bella è che la musica e l’atmosfera che è venuta fuori dalla concertazione degli strumenti e delle voci è del tutto coerente con il testo che avevo dato in pasto all’intelligenza artificiale: una riflessione sghemba e autoironica sulla poesia, nata, nella sua prima versione, come un commento a un post del mio amico Maurizio Lioniello, il quale, a sua volta, aveva scritto dei versi che prendevano in giro un poetastro e le sue sforzate rime. Poi, scrivendo scrivendo, la mia composizione si è trasformata motu propio in un dileggio verso tutti quelli che si sforzano di scrivere testi con insistiti a capo, incluso chi in questo momento sta scrivendo questo testo senza soluzione di continuità. La stessa persona che in quel momento là scrisse quella sequela di parole andando sovente a capo prima della conclusione del rigo. Un abuso che si dovrebbe concedere solo ai poeti veri, quelli fatti, rifatti, strafatti e seri.

Va be’, non aggiungo altro e vi invito all’ascolto attraverso questo video che dura 3 minuti e una trentina di secondi. Secondo me, vale la pena ascoltarlo tutto, anche se temo che risulterà pesante per chi non è abituato a sentire brani di musica lirica e oltraggioso per i melomani duri e puri. Resta uno sparito numero di abitanti di una terra di mezzo che potrebbe pure arrivare fino al meraviglioso 3:27 finale.

Di seguito, il testo che ho fatto cantare ai cantanti lirici artificiali di Casa Udio.


(Lui)
Pensa che sia giusto e che sia figo
Romper la continuità del rigo e
Poetando d’ambascia e d’angoscia
Non si dà conto che ad ogni rima
La paposcia si ammoscia più di prima

Mentr’a mme tanto la stima s’affloscia
Che mi discende giù giù lungo la coscia
Pronta a scoppiare come ad Hiroshima

Ragion per cui la quale rinnego quanto scritto prima
E disbrigo quest’intrigo, caro amigo,
Cambiando metro, modo, tono e stile per interrompere quest’altra inutile rottura del silenzio che potevate anche fare a meno di sentire
(Voi)

E io di scrivere


Per favore, siate così gentili da farmi sapere che ne pensate sia del testo (naturale) che della musica (artificiale, stando alle definizioni attualmente in voga). Ma cercate di non farvi influenzare troppo dai vostri pregiudizi e dalle vostre ansie, ambascie e preoccupazioni collegate alla proliferazione di questi strumenti di cosiddetta intelligenza artificiale che io sto provando a esplorare dal di dentro per capire l’effetto che fa.

Poi, se proprio non riuscite ad ascoltare un brano similoperistico, provate con questo altro esperimento che ho realizzato con lo stesso metodo di rimixaggio di frammenti creati con l’intelligenza artificiale generativa di Udio.

È una canzoncina per l’estate in stile pop downtempo. Il testo l’ho preso da una poesiola  eco-marinara che ho scritto un paio di anni fa, quando ancora non c’era tutto questa diffusione e questo discettare di intelligenze artificiali, naturali o pseudotali.

Va be’, mo basta. Mi fermo qui, ma ho già un sacco di altro materiale, anche in napoletano, tutto prodotto in un solo giorno (ho scoperto che se dai in pasto a Udio un testo in dialetto, lui in dialetto canta, sfoggiando una pronuncia partenopea più plausibile di quella di Mario Del Monaco, Claudio Villa, Pavarotti, Gabriella Ferri e Arbore Renzo).

In fondo, la caratteristica precipua di questa IA è la fretta.

Nelle cucine artificiali di Google

Tag

, , ,

Un paio di app in versione beta che sfruttano le potenzialità dell’AI per generare immagini, musiche e giochi di parole

Stamattina ho fatto una visita ad AI Test Kitchen, un sito web in cui è possibile sperimentare e fornire feedback su alcune delle più recenti produzioni tecnologiche nell’ambito dell’intelligenza artificiale generativa di casa Google.

Ecco cosa ho trovato nelle cucine di aitestkitchen.withgoogle.com (specifico che, come si vede dall’URL, kitchen/cucina è proprio il termine che quei buontemponi di Google hanno dato a questo spazio in cui si preparano e sperimentano nuovi piatti prima di presentarli al grande pubblico):

1. ImageFX
Un programma text-to-image per creare immagini a partire da un prompt testuale. Niente di che, in verità, salvo il fatto che, per alcune delle parole chiave scritte nel prompt, vengono offerti dei menù a tendina che contengono dei termini alternativi che aiutano a produrre in modo agevole altre immagini collegate alla nostra ricerca. Indubbiamente, c’è di meglio in giro, ma vi consiglio di tenerlo d’occhio, perché immagino che in questo retrobottega le cose evolvano a velocità esponenziale.

2. TextFX
Un’applicazione per giocare con le parole (purtroppo solo in inglese) che permette di creare acronimi, acrostici, palindromi, similitudini catene di parole e tant’altro.
Mi è piaciuta molto, anche perché ho provato spesso a fare giochi simili con ChatGPT, Copilot e Mistral con risultati piuttosto scadenti. Questa macchina cerca-parole, invece, pare funzionare bene; almeno nella lingua di Albione. Se avessi più tempo, ci perderei allegramente delle ore.

Questi, per esempio, sono gli acronimi creati da TextFX a partire dalle lettere che compongono il mio cognome e il mio nome:

VERGARA – Very Energetic, Radiant, and Graceful, Always Ready to Achieve
GAETANO – Greatly Admired, Energetic, Talented, Always Nurturing Others

L’acrostico del mio nome di battesimo lo trovo molto simpatico (e, in fondo, è la vera e malcelata ragione per cui ho fatto questo post). In lingua nazionale dice più o meno, ehm, ehm:  “Grandemente Ammirato, Energico, Talentuoso A Nutrire Ognunaltro“. (E lo so che Ognun altro non si scrive tuttattaccato, ma mi serviva per non spezzettare l’acrostico nella versione italiana, visto che in inglese era venuto tutto compatto e senza sbavature).
Proverò a mandarlo a memoria come un mantra da ripetermi nei giorni in cui l’autostima mi scivolerà tra le unghia delle dita dei piedi e i calzini.

Ah, dimenticavo, esiste anche una versione di TextFX meno ricca, ma più stabile, all’indirizzo:
https://textfx.withgoogle.com/.

P.s. C’è anche un MusicFX che al momento non sembra essere disponibile per gli utenti italiani. Io, comunque, l’ho provato in VPN e, dapprincipio, non mi è parso granché. Generava composizioni piatte, banali e con suoni artificiali, tipo midi di prima generazione.
Poi, però, dopo molti tentativi e un prompt piuttosto circostanziato che ho ripetuto due volte, sono venuti fuori un paio di frammenti di una trentina di secondi che ho ritenuto degni di essere salvati e riproposti qui.

Link al brano in due movimenti

Insanely Slow

Avevo chiesto a MusicFX di comporre della:
Insanely slow music with cello and clarinet. Sounds that create a sad and melancholic atmosphere. The last five seconds are in diminuendo.

Il diminuendo (nonostante vari tentativi) non è riuscito e ho operato io un fade out in postproduzione; il resto, però, è stato all’altezza delle mie aspettative. E così spero per voi.

26 aprile del ’37

Tag

,

Da Guernica a Gaza
I nostri morti e quelli degli altri

Guernica (1) e Gaza (2 e 3) rase al suolo dalle bombe

26 aprile 1937. Bombardamento della città basca di Guernica da parte della Legione Condor tedesca e dell’Aviazione Legionaria italiana, le forze nazifasciste che erano accorse in appoggio del fronte nazionalista spagnolo.
Un tragico bombardamento sui civili. Una strage senza fine che sarà il preludio di tante altre stragi di cittadini inermi del XX e del XXI secolo; molte avvenute anche qua in Italia tra il popolo che resisteva all’avanzata del nazifascismo o tra chi si trovava lì e non sapeva niente o quasi niente, ma veniva ugualmente trucidato. Migliaia di persone condannate senza colpa, senza un atto di accusa e forse senza nemmeno rendersi esattamente conto di cosa stesse succedendo.

Un eccidio senza fine che ora conta a Gaza trentaseimila vittime: quasi un morto ammazzato per ogni chilometro quadrato, se faccio bene i miei conti che trasformano in numeri le vite pulsanti di migliaia di donne e uomini; molte nemmeno adulte, molti nemmeno adulti.

Trentaseimila morti ammazzati. Sette-Ottomila persone in più degli abitanti della città in cui vivo. Come se da un momento all’altro l’intera città di Frattamaggiore fosse rasa al suolo con tutti i frattesi e qualche morto collaterale tra i paesi confinanti; mentre tutt’intorno a Napoli e zone collegate se ne stessero indifferenti in silenzio.
Come se la cosa non li riguardasse. Come se quelle bombe non le avessero fatte anche loro.


Trailer Video (clicca qui)